Interrogarsi oggi sul tema della conversione significa anzitutto cercare di chiarire un concetto che rimanda ad un’esperienza fondamentale del vivere umano, esperienza che si caratterizza, però, secondo modalità diverse. Con tale concetto possiamo fare riferimento ad esperienze di liberazione, ma anche a forme in cui si manifestano, invece, dinamiche di sottomissione e di negazione dell’essere umano.
La conversione indica generalmente due ambiti di significato, quello di un’adesione ad una nuova fede religiosa e quello di una conversione dal male al bene. Bisogna ricordare, però, che nel suo significato di adesione ad una nuova fede religiosa, la conversione si è spesso attuata, storicamente, attraverso la violenza, la minaccia di morte, la persecuzione, le uccisioni di massa, basti pensare, per fare un solo esempio, alla conversione degli ebrei spagnoli tra il XIV e il XV secolo.
Proseguendo il cammino di riflessione che ha portato alla pubblicazione del numero della rivista dedicato a «La questione del sacro» (1/2018), la redazione meridionale di «Filosofia e teologia» decise, anche a partire da una serie di eventi storici, di interrogarsi sul tema della conversione scegliendo un approccio specifico. Nel riflettere su quei fenomeni di radicalizzazione che, non solo in epoca contemporanea, portano gli individui, in nome di un presunto spirito religioso, al fanatismo, si è messa anzitutto in discussione quella vocazione a realizzare una verità assoluta, così come essa emerge nel moderno fondamentalismo. A partire da tale contesto, anche per decostruire la mentalità sacrificale propria del convertito e del martire, si è sentita la necessità di ripensare il concetto di conversione uscendo, però, dal paradigma psico-patologico di descrizione della conversione e del martirio proprio della tradizione laico-illuministica. Nelle varie riunioni di redazione ci si è orientati, dunque, a mettere in luce l’esperienza della conversione a partire dalle dimensioni caratterizzanti dell’appello e dell’ascolto che, in senso religioso, rimandano al tema della vocazione ma, più in generale, al tema della costituzione dell’essere umano. I contributi presenti in questo numero, cercano così di mettere in luce l’esperienza della conversione in tutti quegli aspetti che contribuiscono, in un qualche modo, a quella trasformazione dell’individuo che consiste nel passare da una condizione di chiusura nel proprio sé ad un’apertura all’alterità. In questo senso, affrontare il tema della conversione ha significato da un lato distinguerlo da quello del sacrificio e, dall’altro, indagarne le connessioni con la questione della costituzione dell’identità individuale.
Secondo approcci diversi, da quello fenomenologico a quello esegetico, da quello storico-concettuale a quello teologico, i contributi, interrogandosi sul tema «Ascolto e conversione. Chiamati da chi?», tentano di aprire nuovamente una via d’accesso per la comprensione di un’esperienza fondamentale della nostra tradizione culturale, un’esperienza anzitutto individuale che può essere compresa a partire da una chiamata e che, però, è capace di costituire comunità.
In questo senso, rispetto al conosci te stesso socratico e al in te ipsum redi di Agostino che, come è mostrato nel contributo su Bernardo, rimanda ad un moto della coscienza dal foris all’intus e dal ritornare in sé per andare supra se, la conversione può essere intesa non soltanto, secondo una certa tradizione di origine ebraica, come ritorno al Dio unico, ma come un rispondere ad una chiamata che è anche un uscire da sé, un volgersi all’altro da sé. E ci si può chiedere, dunque, se la conversione, proprio in quanto un uscire da sé che permette di volgersi all’altro da sé, indichi non tanto un ritorno, quanto piuttosto un esodo.
Nell’ascoltare e nel rispondere ad una chiamata, la conversione sembra indicare non tanto un tornare indietro, quanto un guardare indietro per allontanarsi dal cammino fatto nel passato. In questo senso, l’individuo viene chiamato a volgersi indietro per guardare avanti. A questo proposito, si contrappongono nell’ebraismo due tradizioni di pensiero. Da un lato, come è chiarito nell’articolo Conversione e costituzione del sé, Hermann Cohen, nel portare avanti la grande tradizione del razionalismo ebraico (Maimonide), individua nella conversione quel processo di riconciliazione che apre al futuro. Dall’altro, Leo Strauss, accentuando nella parola ebraica tešuvah il significato enfatico di pentimento, inteso come «il ritorno dalla via sbagliata alla via giusta», ritiene che la perfezione risieda all’inizio e che, dunque, si debba ritornare al passato.
In questo senso, se si ritiene che la conversione debba impedire al passato di determinare il futuro, il processo di conversione può essere inteso come quel processo di trasformazione che sottrae gli individui al potere del passato e permette loro di potersi costituire come un sé morale.
I contributi presenti in questo numero danno conto in modo articolato e problematico della questione della conversione e lo fanno a partire da un’analisi fenomenologica di momenti della vita interiore quali la paura, la colpa, l’abbandono, che Giuseppe Limone porta avanti nell’articolo Sulla conversione. Tale analisi permette di considerare la conversione come una svolta esistenziale grazie alla quale una persona muta il proprio sguardo sul mondo e il proprio stesso essere al mondo e si muove verso una nuova forma di vita. In questo senso, l’evento della conversione si caratterizza come il fenomeno di uno spossessamento del sé che porta all’emergere di un altro sé. La conversione si manifesta, così, come una interruzione che nasce da una situazione esteriore ed interiore facendo emergere un io lacerato che si pone alla ricerca di una via di scampo. In cammino verso l’altro e verso l’alto, tale itinerario è una ricerca di senso che può trovare risposta solo all’interno di una speranza di chiamata.
Nell’articolo Apocalittica e conversione: 2 Baruch e IV Esdra e il ruolo del «noi», attraverso l’analisi di due testi apocalittici, Carlo Manunza illustra, da un punto di vista teologico ed esegetico, come l’osservanza credente della Legge e la compassione rendano possibile un processo di conversione che possiamo intendere come una uscita da sé. L’osservanza credente della Legge e la compassione, infatti, rendono irrilevante quel mondo interiore caratterizzato dai sentimenti di paura e di sconforto di chi ha fatto esperienza della distruzione del Tempio. Tale processo di trasformazione sottrae gli individui alla schiavitù della disperazione costruendo un orientamento di vita segnato dal forte ruolo del noi (il popolo d’Israele) e, cioè, di un ‘coro’ che, per esempio attraverso l’ascolto, la preghiera e il canto, guida e determina i singoli, indicando loro una via di cambiamento che, liberandoli dalla loro esistenza presente e dal loro sentire interiore, trasforma il loro mondo affettivo volitivo e relazionale.
Il tema della conversione, trattato anzitutto nella sua distinzione da quello del sacrificio e poi in riferimento alla costituzione dell’identità individuale, è al centro dell’articolo di Gian Paolo Cammarota intitolato Conversione e costituzione del sé, che cerca di chiarire in primo luogo in che senso il sacrificio di sé permette la costituzione del sé. Facendo riferimento, in particolare, alla lettura che Hermann Cohen fa della Bibbia ebraica, si rintraccia nel profeta Ezechiele il passaggio concettuale dal sacrificio espiatorio alla conversione e si mostra il modo in cui la conversione dalla cattiva condotta infranga la corrispondenza tra peccato e punizione e faccia subentrare quella tra peccato e conversione. Il tema della costituzione dell’identità a partire dalla prospettiva di una ‘chiamata’ che, inevitabilmente, acquista una valenza etico-religiosa, è trattato anche a partire dalle riflessioni che Martin Heidegger svolge in Essere e tempo, quando si occupa del carattere di chiamata della coscienza e del fatto che la coscienza sia intesa come chiamata della Cura. Secondo tale prospettiva, l’esserci sembra essere sempre e solo davanti a se stesso e ciò sembra impedire che si produca un processo di conversione.
Ne La conversione della Parola in Bernardo di Chiaravalle Maria Borriello ci ricorda anzitutto che nella ‘scuola’ cisterciense del secolo XII la conversione per l’individuo non può che significare un ritornare a Cristo, «un ritorno che si realizza attraverso un’intima metanoia conoscitiva e affettiva». Il contributo esamina, in particolare, il sermone Ad clericos de conversione di Bernardo in cui, in rapporto con la parola di Dio e con la beatitudine, la conversione rappresenta il «percorso interiore di ascesa riformativa dell’anima a Dio». Riproponendo l’«in te ipsum redi» di Agostino, Bernardo affronta il tema del convertere in una dimensione psicologica e spirituale.
Giovanni Andreozzi in Umkehrung der Subjektivität: sul concetto di conversione in Hegel prende in esame lo statuto della soggettività in Hegel mostrando in che senso il movimento dello Umkehren sia essenzialmente un ritorno che al contempo produce un ribaltamento reale. La Umkehrung riguarda essenzialmente l’autocoscienza che, nel suo compiersi, supera il proprio solipsismo e si realizza nella sua conversione in totalità relazionale e intersoggettiva.
In Oltre l’Io diviso. La conversione religiosa in William James Alfonso Lanzieri prende in considerazione il fenomeno della conversione a partire da uno studio classico sulle varie forme della coscienza religiosa, e alla luce di una più ampia teoria della coscienza, studio caratterizzato dall’approccio dell’empirismo radicale. La conversione corrisponde, per James, ad un processo di «consapevole unificazione o riunificazione di un io prima diviso». Come mette giustamente in luce l’articolo, però, l’esperienza religiosa in James si riduce ad un’esperienza senza forma, ad un vissuto che dilegua e che tende a perdersi quando è sottoposto alla mediazione concettuale.
Cloe Taddei Ferretti in La centralità della conversione nel pensiero di Lonergan mostra come, attraverso la teoria della triplice conversione, intellettuale, morale, religiosa, il teologo e filosofo canadese abbia messo l’accento sul tema della trasformazione del sé inteso come quel soggetto che, sul piano della conoscenza, sceglie responsabilmente il proprio orizzonte esistenziale.
In Conversione ed etica cristiana secondo Giannino Piana, Edoardo Cibelli prende in esame i diversi modi in cui può essere declinata la categoria «conversione» nella riflessione teologica contemporanea. Facendo riferimento specificamente al pensiero di Giannino Piana viene messo in risalto anzitutto come, in prospettiva biblica, il concetto di conversione rimandi a quello di vocazione e, cioè, ad una «chiamata a seguire un cammino che si dispiega nel tempo ed è proteso alla pienezza di vita». Dal punto di vista cristiano, però, secondo Piana, la categoria della conversione è strettamente correlata a quella della sequela di Gesù Cristo, a quel «convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15) che porta ad individuare nella radicalità del messaggio di Gesù tratti di novità rispetto all’Antico Testamento.
In Versioni del religioso in Africa occidentale subsahariana Alessia Maccaro propone un’analisi dell’incontro tra culture attraverso un’ermeneutica del lemma «conversione», intendendo quest’ultima non solo come esperienza individuale, ma all’interno di una prospettiva interculturale, e cioè come esperienza costitutiva dell’umano. All’interno della difficile mediazione tra universalismo e particolarismo e facendo riferimento anche alla presenza cattolica in Africa (Bénin), il contributo mostra come la scelta della prospettiva interculturale consente di non disgiungere la conversione dalle culture dei popoli che, seppur intese come legate alle proprie tradizioni identitarie, sono ritenute, ad un tempo, aperte all’incontro con l’altro.
In definitiva, pur nella diversità di posizioni che i contributi di questo numero di «Filosofia e Teologia» esprimono, si può individuare un filo conduttore nell’idea di conversione intesa come risposta ad una chiamata. E poiché nel chiedersi quale sia la provenienza di questa chiamata si è messo in luce che se si ascolta se stessi è possibile che non si faccia esperienza di conversione, quella esperienza è apparsa possibile solo a partire dall’ascolto dell’altro. Chi ascolta se stesso, la propria singolarità empiricamente determinata, sembra rispondere ad un semplice ed egoistico bisogno di salvezza. Solo se l’individuo è capace di superare tale bisogno è possibile che egli intraprenda un cammino di conversione aperto all’altro da sé e, dunque, secondo la tradizione del monoteismo, alla redenzione di sé. E, d’altro canto, se non c’è redenzione, il male è irredimibile e non è possibile alcuna conversione dal male al bene.