La parte monografica
di questo numero di «Filosofia e Teologia»
è dedicata al tema e alle interpretazioni dell’Esodo.
Vorremmo chiamare sensus plenior dell’Esodo,
cioè suo senso integrale, l’arricchimento
che questo libro riceve dalla successive riletture all’interno
delle Scritture ebraiche, e che lo approfondisce e lo
dilata pur movendosi dentro l’orizzonte che esso
ha aperto. Di queste Scritture l’Esodo è
insieme parte e matrice. Nei confronti dell’Antico
Testamento l’Esodo è parte, accanto a cui
si trovano altre parti (il racconto delle origini, la
storia della monarchia, i profeti, i libri sapienziali,
squarci apocalittici), ma al tempo stesso è quella
parte che ha generato o rigenerato le altre, ricevendone
in cambio un supplemento di intelligenza, anche di intelligenza
di se stesso.
L’interpretazione che qui viene proposta anzitutto
da Armido Rizzi è governata da questa convinzione;
e lo è soprattutto su un punto: il carattere non
esclusivo della elezione di Israele. È questo carattere
che ha permesso di riferire il racconto esodico ora a
Israele ora all’umanità intera. Dietro l’elezione
di Israele, dietro l’alleanza con un popolo particolare,
sta l’originaria alleanza di Dio con l’Adamo
– figura simbolica dell’umanità –,
la chiamata di questo all’Eden e, in esso, all’albero
della vita attraverso l’obbedienza al comandamento
divino. La grandezza religiosa di Israele è di
essersi fatto portatore di questo messaggio di elezione
universale: che il particolare dica l’universale
è già la messa in opera – la principale
– dell’elezione rappresentativa. Perciò
l’Esodo deve essere letto simultaneamente su duplice
scala: quella più ridotta, dove si parla di Israele,
della sua elezione e della sua storia, e quella integrale,
dove al centro è la relazione tra Dio e l’uomo,
cioè ogni uomo e l’intera umanità.
Si comprende allora come le riletture dell’Esodo,
che attraversano la storia religiosa – e in parte
la storia laica – dell’Europa prima, e poi
delle Americhe, non siano pure metaforizzazioni, che ne
estendano il significato dentro uno spazio immaginario,
operando una dilatazione irreale. In ognuna di esse viene
colto un aspetto che ha effettivamente a che fare con
la realtà del rapporto di Dio con l’uomo
quale si profila nel racconto esodico. Così c’è
una lettura ebraica extra-biblica che parla delle «quattro
notti» (creazione, Abramo, Esodo, escatologia);
una lettura del Nuovo Testamento, che con diverse accentuazioni
e modalità vede in Gesù Cristo e nella chiesa
il compimento dell’esodo; una lettura patristica,
che prolungando e arricchendo quella neotestamentaria,
compie una interpretazione «tipologica», individuando
nell’iniziazione cristiana o nell’esperienza
mistica quella realtà di cui il racconto esodico
– e più in generale l’Antico Testamento
– era stato l’immagine.
Il capitolo forse più interessante della fecondità
ermeneutica dell’Esodo è quello che coincide
con l’inizio della modernità: l’esodo
dei Puritani in America, per costruirvi la vera città
di Dio, lontano dalla decadenza religiosa dell’Europa
(e uno specifico esito di questo tentativo viene appunto
analizzato in questo fascicolo da Tiziano Bonazzi). Sempre
in America nascerà quella commovente ripresa della
liberazione avvenuta nell’Esodo che sono i negro
spirituals, dove gli schiavi scoprono che quel Dio che
era di fatto il Signore dei loro padroni è di diritto
il loro Signore (e su ciò si sofferma il bel contributo
di Francesca Boschi e Maria Martinelli). Infine, nel Novecento,
basti ricordare il sionismo in campo ebraico e la teologia
della liberazione in campo cristiano: in ambedue questi
spazi di rilettura la teologia dell’Esodo diventa
esperienza di rinnovamento politico dalla parte dei poveri.
Una tale impostazione dal taglio specificamente rivoluzionario,
assai diffusa e influente nel pensiero politico occidentale,
è quella che nell’Esodo e nelle sue interpretazioni
ha messo in luce, com’è noto, Michael Walzer.
E a questa sua lettura Thomas Casadei dedica in questo
numero di «Filosofia e Teologia » un ampio
saggio. Così come, proseguendo sulla stessa linea,
Stefano Zamagni si sofferma sulle letture che della questione
sono offerte da Mario Liverani e Jan Assmann. Avremmo
voluto che, oltre a queste, anche altre ‘attualizzazioni’
del tema fossero rappresentate ampiamente nel nostro Quaderno;
ma ragioni di diversa origine l’hanno impedito.
Quindi i saggi che vi sono presenti sono una piccola parte
di quelli che avrebbero meritato di esserlo. E tuttavia
– riteniamo – essi possono comunque offrire
un’adeguata conferma dell’impostazione generale
che ha animato la nostra ricerca.
Riepilogando infatti, dopo il saggio di Armido Rizzi,
dal sapore programmatico, che vede nell’Esodo una
«riserva inesauribile di senso» del pari conoscitiva
ed esistenziale, e lo scritto di Casadei, volto a mostrare
in che modo l’esodo costituisca un «archetipo»
delle vicende storiche umane, i testi che compongono il
fascicolo sondano aspetti e momenti diversi del riferimento
storico e culturale a questa tematica. Lo fa anzitutto
Stefano Zamagni, discutendo le letture di Liverani e Assmann.
Lo fa poi Tiziano Bonazzi, che prende in esame, come abbiamo
ricordato, un momento di particolare interesse dell’intreccio
tra teologia e politica, nonché il modo in cui
paradigmi religiosi (qual è appunto quello dell’esodo)
acquistano nuova vita attraverso una particolare interpretazione:
il «sacro esperimento» condotto, durante il
Seicento, nel Massachusetts puritano. Franco Toscani mostra
invece come il messaggio contenuto nel Libro dell’Esodo
sia stato, nel Novecento, uno dei nuclei generatori della
riflessione di Ernst Bloch, e come esso risulti presente,
in quanto tale, nel corso della sua opera. In particolare
il saggio fa vedere come in Bloch il tema dell’Esodo
sia interpretato nei termini di un’inesauribile
riserva di senso, capace di mettere in luce quell’eredità
decisiva che la religione lascia anche alla cultura del
nostro tempo. Emanuele Bordello ricostruisce dal canto
suo le tracce di una prospettiva esodica all’interno
del pensiero di Paul Ricoeur. Il Libro dell’Esodo
infatti, se viene inteso come storia della liberazione
del popolo di Israele, apre un’opportunità
unica per considerare nell’ottica di un’articolazione
discorsiva e narrativa le azioni di quell’essere
umano che la tradizione ebraico-cristiana vede chiamato
a realizzare sempre nuovi orizzonti di possibilità
e di libertà: quella prospettiva di eccedenza e
di speranza che, come mostra il già citato saggio
di Boschi e Martinelli, viene musicalmente espresso nei
canti degli schiavi neri. Dallo stesso punto di vista,
seppure un poco più alla lontana, si ricollega
infine alla nostra tematica la stessa presentazione fatta
da Enrico Lucca del pensiero di Stéphane Mosès.
Perché anche in quest’ottica la ripresa di
una tematica del senso, la conquista di esso attraverso
una difficile pratica di liberazione, il proporsi di un’esperienza
particolare che diventa paradigmatica per tutti gli esseri
umani, permettono di comprendere quanto il tema dell’Esodo
continui a essere presente, sia pure nell’implicito,
all’interno della sensibilità e della riflessione
contemporanee.