La modernità ha
messo profondamente in crisi, nel mondo
occidentale, l’idea tradizionale di Dio, in
particolare l’idea della sua trascendenza
personale e della sua azione nel mondo. La
considera e la presenta come legata ad una
cultura definitivamente sorpassata dal
progresso tecnico-scientifico e dalla stessa
maturazione della coscienza critica ed etica
dell’uomo. La scienza moderna, con i suoi
risvolti tecnici, ha infatti segnato il
tramonto del ‘mondo incantato’ premoderno. Ove
per ‘mondo incantato’ s’intende quel mondo in
cui l’uomo viveva nella continua prospettiva
di liberi e puntuali interventi di enti
trascendenti o soprannaturali nel corso degli
eventi mondani. E la coscienza etica dell’uomo
moderno, sempre più sensibile al pieno
rispetto della libertà e del sentire morale
della persona, vede con sospetto l’idea di un
Dio trascendente intrecciata con l’imposizione
dall’esterno di leggi morali vincolanti e con
il rinvio della piena felicità nell’aldilà.
Come alternativa, la modernità ha
progressivamente elaborata una visione del
cosmo retto unicamente da proprie leggi, come
pure un’etica dell’immanenza che scaturisce
autonomamente dalla ragione o dai sentimenti
umani ed è unicamente limitata all’ambito
della vita finita dell’uomo. Un’etica non più
religiosa e sempre più ‘laica’, che a partire
dall’Illuminismo fino alla svolta
‘post-moderna’, ha fermentato in vari modi la
mentalità contemporanea.
Questa crisi dell’idea di Dio, spinta fino
all’ateismo dichiarato e militante, ha
suscitato e continua a suscitare, in campo
religioso, sia filosofico che teologico, un
profondo ripensamento, volto a coglierne quel
nucleo essenziale capace di essere fonte di
senso, e quindi credibile e amabile, anche per
l’uomo d’oggi. Il ripensamento è impegnato per
un verso a purificare tale idea dai tratti
premoderni che l’hanno via via connotata –
potremmo anche dire: a rivederne
l’interpretazione che ne è stata data in tale
cultura –; e per altro verso ad una rilettura
storico-critica dei testi fondatori
dell’Antico e del Nuovo Testamento, al fine di
trarne ispirazione per una nuova
interpretazione nel contesto culturale
attuale. Un procedimento che non può avvenire
se non mettendo in atto il ‘circolo
ermeneutico’ tra le istanze della cultura
contemporanea e la rilettura di tali testi.
Questi, a loro volta, non letti in modo
‘fondamentalista’ ma con metodo
storico-critico, ovvero slegandoli dalle
categorie culturali del tempo in cui furono
composti ed anche dalle categorie culturali
dei successivi tempi premoderni alla cui luce
sono stati interpretati.
Il ripensamento, sia sul piano della riflessione
teologico-intellettuale sia su quello
dell’esperienza spirituale e della prassi
pastorale, è da tempo in atto. La grande
teologia cristiana del secolo XX ne ha fatto il
suo principale compito. Ma esso è ben lungi
dall’essere portato a termine, tanto a livello
teorico quanto di coscienza diffusa. Anzi, si
presenta come un’impresa di amplissima portata,
senza prevedibile prospettiva di poter sfociare
in una nuova sintesi definitiva. Non solo per
l’inesauribilità del mistero di Dio ma anche per
le caratteristiche di mobilità e pluralità della
cultura contemporanea.
Alcuni esempi, che abbiamo avuto presenti
nell’ideazione e impostazione del presente
fascicolo, ci danno la misura dell’ampiezza del
lavoro in atto e da compiere.
1) Il nuovo orizzonte etico-umanistico sollecita
il ripensamento del legame dell’idea di Dio con
quella del ‘sacro’ arcaico, potenzialmente
violento. Secondo la celebre fenomenologia del
‘sacro’ proposta da Rudolf Otto, il ‘sacro’
coincide con il ‘numinoso’, caratterizzato
dall’ambigua commistione di «mysterium
fascinans» e di «mysterium tremendum»; di
mistero affascinante per la beatitudine che può
sovranamente concedere e di mistero terrificante
per le immani distruzioni che può arrecare; con
un’arbitrarietà e imprevedibilità che solo
parzialmente l’uomo cerca di contenere con le
sue pratiche cultuali sacrificali e il suo
comportamento morale.
La liberazione dalla sottomissione al ‘sacro’
così inteso è certamente tra le intenzioni di
fondo dell’etica moderna, consapevole della
maggiore età cui l’uomo è giunto con la
coscienza della propria dignità di soggetto
morale libero, che non può accettare di essere
indirizzato con promesse di premi e minacce di
castighi al posto di convinzioni personali. E
non si può dimenticare che la connessione del
sacro con la violenza, studiata fra altri con
cura da René Girard, sta al centro di una delle
obiezioni storicamente più forti contro il
Cristianesimo e in genere contro le religioni
monoteistiche di carattere universalistico.
Queste religioni, si obietta, avrebbero bensì
superato le divisioni di razza, di nazionalità,
di genere, di stato sociale, ammettendo tutti
nella comunità fraterna dei credenti. Ma avendo
‘sacralizzato’ la loro fede, avrebbero
introdotto una nuova divisione fra gli uomini,
fonte di non meno gravi violenze: quella tra
credenti e non credenti, fedeli e infedeli,
fedeli ortodossi ed eretici; divisione che è
stata alla base di tante guerre di religione, di
tante persecuzione di eretici, di tante
discriminazioni ed inquisizioni ‘in nome di
Dio’.
Rompere il legame dell’idea di Dio con il
‘sacro’ potenzialmente violento non è solo un
imperativo della coscienza moderna – pena la
perdita di ogni credibilità del ‘nome’ stesso di
Dio – ma anche e soprattutto un imperativo della
coscienza cristiana criticamente avvertita, tesa
ad individuare nell’amore di benevolenza e di
misericordia il ‘nucleo essenziale’ del Vangelo.
2) Il nuovo orizzonte scientifico sollecita lo
scioglimento dell’idea di Dio da ogni legame con
il ‘mondo incantato’ premoderno, caratterizzato
da ampia ‘porosità’ tra il mondo della vita
quotidiana e il mondo del ‘soprannaturale’.
Questo mondo ‘incantato’ – come sopra accennato
– è irreversibilmente tramontato con l’avvento
della mentalità tecnico-scientifica moderna.
Esso ha perso ogni ovvietà non solo presso i non
credenti, ma anche nella maggior parte dei
credenti in Dio. Neppure questi, infatti,
prendono in seria considerazione la possibilità
di interventi puntuali di Dio, o di altre forze
soprannaturali, che contrastino le leggi di
natura a loro vantaggio o a loro danno.
L’idea della provvidenza di Dio, della sua
presenza attiva nella vita dell’uomo, sembra
inevitabilmente compromessa. E sembra impresa
vana volerla ricuperare al modo antico. Tanto
più se resta congiunta con quella della
onnipotenza divina. Tutti sappiamo quanto sia
difficile comporre in visione unitaria la bontà
provvidente di un Dio onnipotente con i mali, le
disgrazie e le ingiustizie presenti nel mondo.
In particolare con la sofferenza degli
innocenti. Una difficoltà che resta – accanto a
quella derivante dal crescente ed esclusivo
prestigio assunto dalla conoscenza scientifica
– tra le maggiori cause della
perdita della fede in Dio o dell’insorgere di
dubbi di fede nel mondo occidentale, come
attestano anche le più recenti indagini
sociologiche in proposito. Donde l’urgenza di
ripensare profondamente il senso della
Provvidenza perché non risulti del tutto
incomprensibile; sganciandola, in particolare,
dall’attesa o dalla pretesa di interventi
puntuali straordinari di Dio nella forma di
castighi che potrebbe sempre comminare o di
favori che potrebbe sempre a sua discrezione
elargire.
Più radicalmente, con l’idea della provvidenza
divina va profondamente ripensata anche l’idea
di Dio creatore libero e intelligente, che
avrebbe pensato e voluto il mondo così come esso
è. Tale idea sembra infatti in contrasto con la
nuova visione cosmologica di un universo che è
andato formandosi in un processo di miliardi di
anni, non solo secondo leggi deterministiche
proprie ma anche in virtù di fattori di
contingenza, che escluderebbero la possibilità
che alla sua base vi possa essere un preciso
disegno divino intelligente.
3) Un’ulteriore istanza di ripensamento deriva
dalla critica all’idea tradizionale di Dio in
quanto legata alla cosiddetta ‘metafisica
ontoteologica’. Questa critica, di tipo
strettamente filosofico, è stata ampiamente
diffusa nella filosofia contemporanea, come è
noto, per influsso di Martin Heidegger. La
metafisica ‘ontoteologica’ avrebbe inteso Dio
come un ‘ente’ tra gli ‘enti’, sia pure l’Ente
sommo e perfettissimo, causa prima di ogni altro
ente ed anche di se stesso (causa sui). E così
avrebbe dimenticato la differenza tra l’‘essere’
e gli ‘enti’; ove l’essere è inteso come lo
sfondo o l’orizzonte non oggettivabile e
in-comprensibile in cui ogni ente appare e può
darsi; mentre gli enti sono tutto ciò che è a
nostra ‘portata di mano’, utilizzabile e
manipolabile, sia materialmente che
concettualmente.
L’obiezione heideggeriana ha impegnato e tuttora
impegna la teologia a scindere la visione di Dio
da ogni compromissione, di fatto idolatrica, con
il piano della realtà mondana ‘oggettivabile’,
afferrabile o com-prensibile con i nostri
concetti. Come ben osservavano teologi come Karl
Barth e Dietrich Bonhoeffer, Dio non può essere
correttamente inteso come ‘l’enfasi del mondo’,
come ‘un pezzo di mondo prolungato’, in qualche
modo in continuità con il mondo o deducibile da
esso con dimostrazioni di rigore scientifiche.
Dio è e rimane ‘mistero’ incomprensibile, non un
ente che sta ‘sopra’ o ‘dentro’ il mondo come
causa particolare o come forza tra le forze.
E tuttavia Dio, almeno nella prospettiva del
monoteismo occidentale, perderebbe tutta la sua
consistenza se fosse ridotto ad una forza o
energia impersonale, che pervade il mondo nella
modalità della necessità; come da più parti si
tende oggi a pensare Dio o il divino. Sembra
infatti essenziale, per tale monoteismo,
pensarlo come ‘persona’ libera, a cui ci si può
rivolgere nella preghiera come al proprio ‘Tu
assoluto’; e che si relaziona all’uomo con
amore, suscitandone e rispettandone la libertà.
Ma l’uso del termine ‘persona’ rischia
facilmente di farci scivolare in una teologia di
tipo antropomorfico; un filosofo come Spinoza ce
lo ha fatto comprendere fin dall’inizio della
modernità. Dio non può infatti essere una
‘persona’ determinata o ‘entificata’ come noi,
sia pur grandissima e potentissima; non è
infatti individuabile in base ad una serie di
caratteristiche, quali passioni e azioni
prevedibili, mutabili, influenzabili. Si ricordi
il detto spinoziano: «omnis determinatio est
negatio». La sua ‘trascendenza personale
misteriosa’ va quindi pensata in altro
modo. Se mai, a partire dal ‘mistero’
indeterminabile, inesauribile e non
manipolabile, che già ogni persona umana è a se
stessa e agli altri, pur essendo capace di
autentiche relazione d’amore. Una prospettiva,
questa del ‘mistero della persona umana’ e delle
sue relazioni di amore, forse tra quelle meno
inadeguate per indirizzare il pensiero nella
direzione del ‘mistero personale’ di Dio. E ci
si potrebbe chiedere se tale prospettiva non
possa indirizzarci anche ad un proficuo
ripensamento della visione trinitaria cristiana
di Dio. Un mistero, quello del Dio trinitario,
che se per un verso non fa che aggravare la
plausibilità critica del Dio della tradizione
cristiana, per altro verso, una volta
accuratamente ripensato, potrebbe forse aiutarci
ad elaborare una ontologia non più legata al
primato dell’uno, monoliticamente inteso e
vincolato alla necessità, per essere concepita
in riferimento al primato ontologico delle
libere relazioni interpersonali.
4) La sensibilità umanistica moderna, potenziata
dal dilagante processo di secolarizzazione,
sollecita anche un deciso ripensamento del
legame dell’idea di Dio con il concetto di
‘trascendenza eteronoma’. Si tratta di un tipo
di trascendenza, di cui anche il Dio cristiano è
stato ampiamente rivestito, che ci fa pensare
Dio come un legislatore onnipotente ed
arbitrario – anzi come l’unico supremo
legislatore - che dall’alto del suo trono,
ovvero ‘dall’esterno’ della coscienza e della
libertà umane, detta precise e concrete leggi
morali agli uomini, imponendo loro di osservarle
con minacce di castighi e con promesse di premi,
che metterà infallibilmente in atto con la sua
onnipotente giustizia.
Già San Tommaso aveva rivisto tale schema
‘eteronomo’ confrontandosi con l’etica
aristotelica, la quale individua la fonte della
moralità nello stesso dinamismo della natura
umana razionale, tesa in quanto tale – cioè in
base a discernimento razionale - al
raggiungimento della propria perfezione e
felicità. Per San Tommaso, infatti, le ‘leggi’
di Dio non sopraggiungono dall’esterno alla
natura umana ma sono iscritte nello stesso
dinamismo della natura razionale creata da Dio.
Oggi liberare Dio dal concetto di ‘trascendenza
eteronoma’ è ancor più urgente che ai tempi di
San Tommaso. Dobbiamo, infatti, fare i conti con
la profonda convinzione moderna dell’‘autonomia
della morale’ da comandi estrinseci, fatti
valere dalle religioni in nome di Dio. Una
convinzione ormai largamente diffusa, che
rappresenta uno degli esiti ultimi della
secolarizzazione, intesa nel suo senso
‘strutturale’ di differenziazione e di
autonomizzazione dalla religione delle varie
sfere sociali: scienza, politica, economia ecc.,
fino, appunto, alla morale.
L’autonomia della morale, dopo quella della
scienza e della politica, è oggi tra le
principali provocazioni che la fede in Dio deve
saper accogliere. E si tratta di una
provocazione prettamente teologica, in quanto
coinvolge in profondità l’idea stessa del Dio in
cui si crede. Svincolare l’idea di Dio con
coerenza dallo schema della ‘trascendenza
eteronoma’ non è un’impresa facile, dato che per
tanto tempo vi è stato connesso in qualità di
creatore e legislatore; tanto da far pensare che
tale connessione fosse l’unico modo per
salvaguardarne l’autentica trascendenza. Ma è
forse tra i compiti più urgenti che la teologia
deve affrontare se vuole oggi pensare Dio e
parlare di Dio con verità e credibilità.
Sono questi alcuni esempi dell’ampio e complesso
sfondo problematico riguardante il ripensamento
dell’idea di Dio che la cultura moderna ormai da
tempo sollecita. Avendolo presente, in questo
fascicolo abbiamo tentato di proporre alcuni
esempi di ‘nuovi sguardi su Dio’ che da tale
ripensamento stanno emergendo. ‘Nuovi sguardi’
perché ci indirizzano a ‘intendere’ - e, direi,
anche a ‘sentire’ Dio - in modo diverso dal
passato, pur senza darcene una visione
sistematica alternativa compiuta. ‘Sguardi’ che
aprono nuovi orizzonti invitando ad esplorarli o
percorrerli con quella nuova capacità di vedere
e sentire moderna che in qualche modo tutti ci
portiamo dentro.
Essi si riferiscono, in particolare, al
ripensamento di alcuni dei tradizionali
‘attributi’ di Dio, come pure al venire in primo
piano di alcuni ‘attributi’ meno frequentati in
passato o addirittura quasi mai presi in
considerazione. Tra gli attributi tradizionali
quello della onnipotenza, della provvidenza,
della santità/sacralità, della personalità, di
creatore e della trinità. Tra i meno frequentati
certamente quello della misericordia. Tra quelli
in qualche modo ‘nuovi’, quello della umiltà.
Nei saggi che seguono si dirà anche in che senso
si possono o no ancora considerare ‘attributi’,
nel senso classico di predicati di una
‘sostanza’ divina; come opportunamente viene
problematizzato nel contributo di Adriano
Fabris. Non abbiamo ovviamente potuto presentare
una panoramica complessiva di tutti gli
‘attributi’ ontologici e morali di Dio. Ma
riteniamo che nei contributi che compongono la
parte monografica di questo fascicolo, si abbia
una buona panoramica del profondo ripensamento
dell’idea di Dio che è attualmente in atto.
Come invito alla lettura segnaliamo con brevi
cenni le nuove prospettive che emergono dai
singoli contributi.
Il teologi tedesco Jürgen Werbick, autore fra
l’altro di un poderoso volume dal titolo Un Dio
coinvolgente, ci offre una rigorosa messa in
questione del concetto tradizionale
dell’onnipotenza di Dio, cui egli contrappone la
cifra, di ascendenza schellinghiana, della
«insuperabile debolezza di Dio per l’uomo». Il
saggio inizia col mettere in luce l’ambivalenza
che connota il ‘potere’ divino, soprattutto
quando, come ‘sacra potestas’, è gestito da re e
sacerdoti e sfocia nella ‘violenza’. Passa a
esaminare le aporie e le tensioni che percorrono
la teoria classica della onnipotenza divina,
quale compiuta perfezione del «poter fare tutto
ciò che si vuole», senza alcun limite. Prende in
esame i vari tentativi fatti per superare tali
aporie e tensioni rimanendo all’interno dello
stesso schema concettuale, giudicandoli
insufficienti; osservando, ad esempio che alcuni
di essi cadono nella contraddizione di una
potenza, come tale illimitata, che si
autolimita. E conclude abbozzando in positivo –
il ‘nuovo sguardo’ cui ci invita – un’idea della
potenza divina non più sulla linea di un
accrescimento illimitato ma su quella di un
‘accrescimento in relazione’, quale ‘potere di
relazione’ o ‘potere potenziante’, fino a
coinvolgere la libertà altrui nella
partecipazione alla sua buona volontà. Non senza
il rischio del rifiuto; donde la cifra della
«debolezza di Dio per l’uomo» di cui parlava
Schelling.
In stretta connessione con l’esito del saggio di
Werbick, si può leggere il saggio del teologo
italiano Roberto Repole, autore fra l’altro del
fortunato volume Il pensiero umile. Alla cifra
della ‘debolezza’ di Dio, Repole preferisce
quella della ‘umiltà’, che forse meglio
caratterizza la disponibilità divina a porsi in
relazione con l’uomo, che lo ha portato ad
abbassarsi verso l’uomo fino a condividerne la
miseria e la morte. Il saggio, oltre a proporre
una fenomenologia dell’umiltà, cerca di far
vedere in che senso essa possa essere riferita a
Dio, non solo nel suo manifestarsi ad extra, in
Gesù, ma anche nel suo stesso essere, ad intra,
nell’ambito delle relazioni tra le tre persone
divine, quale condizione di possibilità della
creazione, dell’incarnazione e del suo abitare
come Spirito nei cuori umani.
Al tema della provvidenza di Dio, ampiamente
messo in crisi dal pensiero moderno – come sopra
accennato - è dedicato il saggio del teologo
spagnolo/galiziano Andrés Torres Queiruga, da
tempo impegnato in un ripensamento radicale di
tutta la teologia cristiana, che prenda
definitivo congedo dal paradigma teologico
debitore della cultura premoderna per
elaborarne, nel contesto del pensiero moderno,
uno nuovo rigorosamente coerente. Alla
contestazione illuministico-deista di un mondo
in tutto e per tutto governato da Dio – sfociata
nel ‘deismo radicale’ negatore di ogni
intervento di Dio nel mondo – la teologia
cristiana ha reagito finora con quello che
Torres Queiruga chiama «deismo interventista»:
il mondo è generalmente retto dalla leggi
naturali, ma Dio talora – anche per rispondere
alle preghiere umane – interviene con azioni
‘miracolose’ che superano le leggi naturali.
Ritenendo questo modello insostenibile
criticamente, Torres Queiruga propone una nuova
concezione della provvidenza di Dio come
‘creazione per amore’. Una creazione sempre in
atto nella evoluzione cosmica e storica, ma
all’interno stesso dei dinamismi naturali, senza
interventi miracolistici puntuali. Ne risulta un
senso della provvidenza che ne ricupera il
significato cristiano fondamentale di un modo di
stare al mondo in confidenza filiale con Dio,
che sempre ci sta creando per amore.
Coerentemente l’autore accenna alla necessaria
revisione della problematica teologica del male,
della preghiera di petizione, del miracolo,
rimandando a quanto più diffusamente
sostenuto in altre sue pubblicazioni.
Come revisione della concezione
‘numinoso-sacrale’ di Dio possono essere letti i
saggi dei filosofi Roberto Mancini e di Adriano
Fabris.
Mancini, sulla scia di una serie di interventi
in proposito, ci propone una lettura originale
della misericordia di Dio, che nella prospettiva
evangelica cristiana non dovrebbe essere vista
in contrapposizione alla giustizia e alla verità
ma identica con esse. Il che presuppone che
misericordia, giustizia e verità siano
opportunamente ripensate, come egli fa nel suo
saggio con un ricco rimando ermeneutico tra
fenomenologia esistenziale ed interpretazione
biblica. Particolarmente illuminante e
coinvolgente la riflessione sulla ‘logica’
dell’amore misericordioso come «passione
generatrice e salvatrice», vera e propria
‘relazione salvifica’; sulla giustizia, non come
retribuzione di meriti e colpe ma come l’«amore
più grande», che guarda alla dignità infinita di
ogni uomo; sulla verità, come un «divenire veri»
di fronte al fratello. E non si manca di
affrontare il tema del rapporto tra misericordia
e contrasto al male e di come interpretare i
detti evangelici sulle minacce e punizioni
divine.
Ne risulta un compiuto superamento del volto
ambiguo del ‘sacro’, a un tempo affascinante per
la sua misericordiosa bontà e tremendo per la
sua rigorosa giustizia, in favore di una visione
di Dio tutto e solo amore misericordioso e,
proprio perché tale, in grado di svelarci il
senso autentico della giustizia e della verità.
Il ripensamento della ‘sacralità’ di Dio è
presente da un altro punto di vista nel saggio
del filosofo della religione Adriano Fabris su
«sacralità/santità di Dio». Dopo aver osservato
che i due termini non debbono essere intesi come
‘attributi’ nel senso di designazioni di una
‘sostanza’ divina ma come ‘funzioni di
relazioni’ tra Dio e l’uomo, Fabris ne individua
il nucleo essenziale nella tensione tra la
relazione che intercorre fra Dio e uomo e la
loro radicale differenza o ‘separazione’. Una
tensione che si mantiene anche nel passaggio dal
‘sacro’ al ‘santo’, già presente nell’AT e
portata a compimento nel NT; ossia dalla
richiesta di purità legale a quella di
correttezza nel comportamento morale ispirato da
‘purezza’ di cuore. Le parole e le azioni che
mettono in rapporto con Dio non vanno infatti
mai intese come in se stesse ‘sacre’ , come se
la relazione con Dio consistesse in esse, si
‘fissasse’ in esse, ma come ‘strutture di
rimando’, simboli o metafore di ciò che resta
sempre ulteriore nella sua ineffabile e
incomprensibile ‘santità/separatezza’. Ove il
passaggio dal sacro al santo si completa,
quindi, con il passaggio dal sacro al simbolico,
che evita ogni possibile oggettivazione e
manipolazione del divino da parte di poteri o
istituzioni ‘sacre’.
Questa ultima cadenza del saggio di Fabris
ritorna nel saggio di Luca Ghisleri come tema
del mistero ineffabile di Dio, che l’uomo non
può dominare ma soltanto invocare in termini
ossimorici. Il saggio è dedicato alla
ricostruzione del percorso compiuto da Italo
Mancini nella sua riflessione sul concetto di
‘persona dei’. Questo grande maestro italiano di
filosofia della religione ha preso molto sul
serio la critica moderna al concetto di persona
applicato a Dio ed è giunto alla convinzione
della insufficienza del ‘teismo metafisico’, che
concepisce la ‘persona’ quale attributo di un
Dio dimostrato metafisicamente. La persona dei
va a suo avviso intesa come la condizione di
possibilità, in Dio, di parlare all’uomo e di
incidere nella storia coinvolgendolo nella sua
azione di liberazione.
Il senso in qualche modo ‘ossimorico’ del nostro
parlare del mistero di Dio caratterizza anche il
saggio di Enrico Guglielminetti, che ci presenta
un originale tentativo di ripensare l’idea
cristiana della Trinità di Dio. A suo avviso,
tale idea ci invita a pensare l’unità di Dio
come qualcosa che contiene «più di se stessa»
pur rimanendo se stessa; ossia come qualcosa cui
si addice una «aggiunta». Non l’aggiunta banale,
esterna all’uno e che moltiplica l’uno, ma
l’aggiunta in senso forte, interna allo stesso
esser-uno e che lo rende vivo. La «metafisica
dell’aggiunta» che Guglielminetti propone nel
suo saggio, non senza rinvenirne tracce in San
Tommaso ed esplicita formulazione in Duns Scoto,
non solo consentirebbe al cristianesimo di
pensare se stesso con categorie filosofiche
proprie – e non ad esso estranee come quelle
aristoteliche – ma potrebbe offrire al pensiero
filosofico una ontologia nuova, particolarmente
adatta a pensare sia l’antropologia che la
temporalità e la stessa politica. Indubbiamente
anche qui ci troviamo di fronte ad un ‘nuovo
sguardo su Dio’ che, come quelli precedenti, non
solo è impegnato a meglio intendere Dio ma anche
a meglio intendere il senso della nostra vita.
Comprensione di Dio e comprensione dell’uomo
sono stati, infatti, e continuano a essere
strettamente legati.