FILOSOFIA E TEOLOGIA
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La modernità ha messo profondamente in crisi, nel mondo occidentale, l’idea tradizionale di Dio, in particolare l’idea della sua trascendenza personale e della sua azione nel mondo. La considera e la presenta come legata ad una cultura definitivamente sorpassata dal progresso tecnico-scientifico e dalla stessa maturazione della coscienza critica ed etica dell’uomo. La scienza moderna, con i suoi risvolti tecnici, ha infatti segnato il tramonto del ‘mondo incantato’ premoderno. Ove per ‘mondo incantato’ s’intende quel mondo in cui l’uomo viveva nella continua prospettiva di liberi e puntuali interventi di enti trascendenti o soprannaturali nel corso degli eventi mondani. E la coscienza etica dell’uomo moderno, sempre più sensibile al pieno rispetto della libertà e del sentire morale della persona, vede con sospetto l’idea di un Dio trascendente intrecciata con l’imposizione dall’esterno di leggi morali vincolanti e con il rinvio della piena felicità nell’aldilà.

Come alternativa, la modernità ha progressivamente elaborata una visione del cosmo retto unicamente da proprie leggi, come pure un’etica dell’immanenza che scaturisce autonomamente dalla ragione o dai sentimenti umani ed è unicamente limitata all’ambito della vita finita dell’uomo. Un’etica non più religiosa e sempre più ‘laica’, che a partire dall’Illuminismo fino alla svolta ‘post-moderna’, ha fermentato in vari modi la mentalità contemporanea.

Questa crisi dell’idea di Dio, spinta fino all’ateismo dichiarato e militante, ha suscitato e continua a suscitare, in campo religioso, sia filosofico che teologico, un profondo ripensamento, volto a coglierne quel nucleo essenziale capace di essere fonte di senso, e quindi credibile e amabile, anche per l’uomo d’oggi. Il ripensamento è impegnato per un verso a purificare tale idea dai tratti premoderni che l’hanno via via connotata – potremmo anche dire: a rivederne l’interpretazione che ne è stata data in tale cultura –; e per altro verso ad una rilettura storico-critica dei testi fondatori dell’Antico e del Nuovo Testamento, al fine di trarne ispirazione per una nuova interpretazione nel contesto culturale attuale. Un procedimento che non può avvenire se non mettendo in atto il ‘circolo ermeneutico’ tra le istanze della cultura contemporanea e la rilettura di tali testi. Questi, a loro volta, non letti in modo ‘fondamentalista’ ma con metodo storico-critico, ovvero slegandoli dalle categorie culturali del tempo in cui furono composti ed anche dalle categorie culturali dei successivi tempi premoderni alla cui luce sono stati interpretati.

Il ripensamento, sia sul piano della riflessione teologico-intellettuale sia su quello dell’esperienza spirituale e della prassi pastorale, è da tempo in atto. La grande teologia cristiana del secolo XX ne ha fatto il suo principale compito. Ma esso è ben lungi dall’essere portato a termine, tanto a livello teorico quanto di coscienza diffusa. Anzi, si presenta come un’impresa di amplissima portata, senza prevedibile prospettiva di poter sfociare in una nuova sintesi definitiva. Non solo per l’inesauribilità del mistero di Dio ma anche per le caratteristiche di mobilità e pluralità della cultura contemporanea.
Alcuni esempi, che abbiamo avuto presenti nell’ideazione e impostazione del presente fascicolo, ci danno la misura dell’ampiezza del lavoro in atto e da compiere.
1) Il nuovo orizzonte etico-umanistico sollecita il ripensamento del legame dell’idea di Dio con quella del ‘sacro’ arcaico, potenzialmente violento. Secondo la celebre fenomenologia del ‘sacro’ proposta da Rudolf Otto, il ‘sacro’ coincide con il ‘numinoso’, caratterizzato dall’ambigua commistione di «mysterium fascinans» e di «mysterium tremendum»; di mistero affascinante per la beatitudine che può sovranamente concedere e di mistero terrificante per le immani distruzioni che può arrecare; con un’arbitrarietà e imprevedibilità che solo parzialmente l’uomo cerca di contenere con le sue pratiche cultuali sacrificali e il suo comportamento morale.

La liberazione dalla sottomissione al ‘sacro’ così inteso è certamente tra le intenzioni di fondo dell’etica moderna, consapevole della maggiore età cui l’uomo è giunto con la coscienza della propria dignità di soggetto morale libero, che non può accettare di essere indirizzato con promesse di premi e minacce di castighi al posto di convinzioni personali. E non si può dimenticare che la connessione del sacro con la violenza, studiata fra altri con cura da René Girard, sta al centro di una delle obiezioni storicamente più forti contro il Cristianesimo e in genere contro le religioni monoteistiche di carattere universalistico. Queste religioni, si obietta, avrebbero bensì superato le divisioni di razza, di nazionalità, di genere, di stato sociale, ammettendo tutti nella comunità fraterna dei credenti. Ma avendo ‘sacralizzato’ la loro fede, avrebbero introdotto una nuova divisione fra gli uomini, fonte di non meno gravi violenze: quella tra credenti e non credenti, fedeli e infedeli, fedeli ortodossi ed eretici; divisione che è stata alla base di tante guerre di religione, di tante persecuzione di eretici, di tante discriminazioni ed inquisizioni ‘in nome di Dio’.

Rompere il legame dell’idea di Dio con il ‘sacro’ potenzialmente violento non è solo un imperativo della coscienza moderna – pena la perdita di ogni credibilità del ‘nome’ stesso di Dio – ma anche e soprattutto un imperativo della coscienza cristiana criticamente avvertita, tesa ad individuare nell’amore di benevolenza e di misericordia il ‘nucleo essenziale’ del Vangelo.
2) Il nuovo orizzonte scientifico sollecita lo scioglimento dell’idea di Dio da ogni legame con il ‘mondo incantato’ premoderno, caratterizzato da ampia ‘porosità’ tra il mondo della vita quotidiana e il mondo del ‘soprannaturale’. Questo mondo ‘incantato’ – come sopra accennato – è irreversibilmente tramontato con l’avvento della mentalità tecnico-scientifica moderna. Esso ha perso ogni ovvietà non solo presso i non credenti, ma anche nella maggior parte dei credenti in Dio. Neppure questi, infatti, prendono in seria considerazione la possibilità di interventi puntuali di Dio, o di altre forze soprannaturali, che contrastino le leggi di natura a loro vantaggio o a loro danno.
L’idea della provvidenza di Dio, della sua presenza attiva nella vita dell’uomo, sembra inevitabilmente compromessa. E sembra impresa vana volerla ricuperare al modo antico. Tanto più se resta congiunta con quella della onnipotenza divina. Tutti sappiamo quanto sia difficile comporre in visione unitaria la bontà provvidente di un Dio onnipotente con i mali, le disgrazie e le ingiustizie presenti nel mondo. In particolare con la sofferenza degli innocenti. Una difficoltà che resta – accanto a quella derivante dal crescente ed esclusivo prestigio assunto dalla conoscenza scientifica –   tra le maggiori cause della perdita della fede in Dio o dell’insorgere di dubbi di fede nel mondo occidentale, come attestano anche le più recenti indagini sociologiche in proposito. Donde l’urgenza di ripensare profondamente il senso della Provvidenza perché non risulti del tutto incomprensibile; sganciandola, in particolare, dall’attesa o dalla pretesa di interventi puntuali straordinari di Dio nella forma di castighi che potrebbe sempre comminare o di favori che potrebbe sempre a sua discrezione elargire.
Più radicalmente, con l’idea della provvidenza divina va profondamente ripensata anche l’idea di Dio creatore libero e intelligente, che avrebbe pensato e voluto il mondo così come esso è. Tale idea sembra infatti in contrasto con la nuova visione cosmologica di un universo che è andato formandosi in un processo di miliardi di anni, non solo secondo leggi deterministiche proprie ma anche in virtù di fattori di contingenza, che escluderebbero la possibilità che alla sua base vi possa essere un preciso disegno divino intelligente.

3) Un’ulteriore istanza di ripensamento deriva dalla critica all’idea tradizionale di Dio in quanto legata alla cosiddetta ‘metafisica ontoteologica’. Questa critica, di tipo strettamente filosofico, è stata ampiamente diffusa nella filosofia contemporanea, come è noto, per influsso di Martin Heidegger. La metafisica ‘ontoteologica’ avrebbe inteso Dio come un ‘ente’ tra gli ‘enti’, sia pure l’Ente sommo e perfettissimo, causa prima di ogni altro ente ed anche di se stesso (causa sui). E così avrebbe dimenticato la differenza tra l’‘essere’ e gli ‘enti’; ove l’essere è inteso come lo sfondo o l’orizzonte non oggettivabile e in-comprensibile in cui ogni ente appare e può darsi; mentre gli enti sono tutto ciò che è a nostra ‘portata di mano’, utilizzabile e manipolabile, sia materialmente che concettualmente.
L’obiezione heideggeriana ha impegnato e tuttora impegna la teologia a scindere la visione di Dio da ogni compromissione, di fatto idolatrica, con il piano della realtà mondana ‘oggettivabile’, afferrabile o com-prensibile con i nostri concetti. Come ben osservavano teologi come Karl Barth e Dietrich Bonhoeffer, Dio non può essere correttamente inteso come ‘l’enfasi del mondo’, come ‘un pezzo di mondo prolungato’, in qualche modo in continuità con il mondo o deducibile da esso con dimostrazioni di rigore scientifiche. Dio è e rimane ‘mistero’ incomprensibile, non un ente che sta ‘sopra’ o ‘dentro’ il mondo come causa particolare o come forza tra le forze.
E tuttavia Dio, almeno nella prospettiva del monoteismo occidentale, perderebbe tutta la sua consistenza se fosse ridotto ad una forza o energia impersonale, che pervade il mondo nella modalità della necessità; come da più parti si tende oggi a pensare Dio o il divino. Sembra infatti essenziale, per tale monoteismo, pensarlo come ‘persona’ libera, a cui ci si può rivolgere nella preghiera come al proprio ‘Tu assoluto’; e che si relaziona all’uomo con amore, suscitandone e rispettandone la libertà.

Ma l’uso del termine ‘persona’ rischia facilmente di farci scivolare in una teologia di tipo antropomorfico; un filosofo come Spinoza ce lo ha fatto comprendere fin dall’inizio della modernità. Dio non può infatti essere una ‘persona’ determinata o ‘entificata’ come noi, sia pur grandissima e potentissima; non è infatti individuabile in base ad una serie di caratteristiche, quali passioni e azioni prevedibili, mutabili, influenzabili. Si ricordi il detto spinoziano: «omnis determinatio est negatio». La sua ‘trascendenza personale misteriosa’  va quindi pensata in altro modo. Se mai, a partire dal ‘mistero’ indeterminabile, inesauribile e non manipolabile, che già ogni persona umana è a se stessa e agli altri, pur essendo capace di autentiche relazione d’amore. Una prospettiva, questa del ‘mistero della persona umana’ e delle sue relazioni di amore, forse tra quelle meno inadeguate per indirizzare il pensiero nella direzione del ‘mistero personale’ di Dio. E ci si potrebbe chiedere se tale prospettiva non possa indirizzarci anche ad un proficuo ripensamento della visione trinitaria cristiana di Dio. Un mistero, quello del Dio trinitario, che se per un verso non fa che aggravare la plausibilità critica del Dio della tradizione cristiana, per altro verso, una volta accuratamente ripensato, potrebbe forse aiutarci ad elaborare una ontologia non più legata al primato dell’uno, monoliticamente inteso e vincolato alla necessità, per essere concepita in riferimento al primato ontologico delle libere relazioni interpersonali.

4) La sensibilità umanistica moderna, potenziata dal dilagante processo di secolarizzazione, sollecita anche un deciso ripensamento del legame dell’idea di Dio con il concetto di ‘trascendenza eteronoma’. Si tratta di un tipo di trascendenza, di cui anche il Dio cristiano è stato ampiamente rivestito, che ci fa pensare Dio come un legislatore onnipotente ed arbitrario – anzi come l’unico supremo legislatore - che dall’alto del suo trono, ovvero ‘dall’esterno’ della coscienza e della libertà umane, detta precise e concrete leggi morali agli uomini, imponendo loro di osservarle con minacce di castighi e con promesse di premi, che metterà infallibilmente in atto con la sua onnipotente giustizia.
Già San Tommaso aveva rivisto tale schema ‘eteronomo’ confrontandosi con l’etica aristotelica, la quale individua la fonte della moralità nello stesso dinamismo della natura umana razionale, tesa in quanto tale – cioè in base a discernimento razionale - al raggiungimento della propria perfezione e felicità. Per San Tommaso, infatti, le ‘leggi’ di Dio non sopraggiungono dall’esterno alla natura umana ma sono iscritte nello stesso dinamismo della natura razionale creata da Dio.
Oggi liberare Dio dal concetto di ‘trascendenza eteronoma’ è ancor più urgente che ai tempi di San Tommaso. Dobbiamo, infatti, fare i conti con la profonda convinzione moderna dell’‘autonomia della morale’ da comandi estrinseci, fatti valere dalle religioni in nome di Dio. Una convinzione ormai largamente diffusa, che rappresenta uno degli esiti ultimi della secolarizzazione, intesa nel suo senso ‘strutturale’ di differenziazione e di autonomizzazione dalla religione delle varie sfere sociali: scienza, politica, economia ecc., fino, appunto, alla morale.

L’autonomia della morale, dopo quella della scienza e della politica, è oggi tra le principali provocazioni che la fede in Dio deve saper accogliere. E si tratta di una provocazione prettamente teologica, in quanto coinvolge in profondità l’idea stessa del Dio in cui si crede. Svincolare l’idea di Dio con coerenza dallo schema della ‘trascendenza eteronoma’ non è un’impresa facile, dato che per tanto tempo vi è stato connesso in qualità di creatore e legislatore; tanto da far pensare che tale connessione fosse l’unico modo per salvaguardarne l’autentica trascendenza. Ma è forse tra i compiti più urgenti che la teologia deve affrontare se vuole oggi pensare Dio e parlare di Dio con verità e credibilità.

Sono questi alcuni esempi dell’ampio e complesso sfondo problematico riguardante il ripensamento dell’idea di Dio che la cultura moderna ormai da tempo sollecita. Avendolo presente, in questo fascicolo abbiamo tentato di proporre alcuni esempi di ‘nuovi sguardi su Dio’ che da tale ripensamento stanno emergendo. ‘Nuovi sguardi’ perché ci indirizzano a ‘intendere’ - e, direi, anche a ‘sentire’ Dio - in modo diverso dal passato, pur senza darcene una visione sistematica alternativa compiuta. ‘Sguardi’ che aprono nuovi orizzonti invitando ad esplorarli o percorrerli con quella nuova capacità di vedere e sentire moderna che in qualche modo tutti ci portiamo dentro.
Essi si riferiscono, in particolare, al ripensamento di alcuni dei tradizionali ‘attributi’ di Dio, come pure al venire in primo piano di alcuni ‘attributi’ meno frequentati in passato o addirittura quasi mai presi in considerazione. Tra gli attributi tradizionali quello della onnipotenza, della provvidenza, della santità/sacralità, della personalità, di creatore e della trinità. Tra i meno frequentati certamente quello della misericordia. Tra quelli in qualche modo ‘nuovi’, quello della umiltà. Nei saggi che seguono si dirà anche in che senso si possono o no ancora considerare ‘attributi’, nel senso classico di predicati di una ‘sostanza’ divina; come opportunamente viene problematizzato nel contributo di Adriano Fabris. Non abbiamo ovviamente potuto presentare una panoramica complessiva di tutti gli ‘attributi’ ontologici e morali di Dio. Ma riteniamo che nei contributi che compongono la parte monografica di questo fascicolo, si abbia una buona panoramica del profondo ripensamento dell’idea di Dio che è attualmente in atto.

Come invito alla lettura segnaliamo con brevi cenni le nuove prospettive che emergono dai singoli contributi.
Il teologi tedesco Jürgen Werbick, autore fra l’altro di un poderoso volume dal titolo Un Dio coinvolgente, ci offre una rigorosa messa in questione del concetto tradizionale dell’onnipotenza di Dio, cui egli contrappone la cifra, di ascendenza schellinghiana, della «insuperabile debolezza di Dio per l’uomo». Il saggio inizia col mettere in luce l’ambivalenza che connota il ‘potere’ divino, soprattutto quando, come ‘sacra potestas’, è gestito da re e sacerdoti e sfocia nella ‘violenza’. Passa a esaminare le aporie e le tensioni che percorrono la teoria classica della onnipotenza divina, quale compiuta perfezione del «poter fare tutto ciò che si vuole», senza alcun limite. Prende in esame i vari tentativi fatti per superare tali aporie e tensioni rimanendo all’interno dello stesso schema concettuale, giudicandoli insufficienti; osservando, ad esempio che alcuni di essi cadono nella contraddizione di una potenza, come tale illimitata, che si autolimita. E conclude abbozzando in positivo – il ‘nuovo sguardo’ cui ci invita – un’idea della potenza divina non più sulla linea di un accrescimento illimitato ma su quella di un ‘accrescimento in relazione’, quale ‘potere di relazione’ o ‘potere potenziante’, fino a coinvolgere la libertà altrui nella partecipazione alla sua buona volontà. Non senza il rischio del rifiuto; donde la cifra della «debolezza di Dio per l’uomo» di cui parlava Schelling.

In stretta connessione con l’esito del saggio di Werbick, si può leggere il saggio del teologo italiano Roberto Repole, autore fra l’altro del fortunato volume Il pensiero umile. Alla cifra della ‘debolezza’ di Dio, Repole preferisce quella della ‘umiltà’, che forse meglio caratterizza la disponibilità divina a porsi in relazione con l’uomo, che lo ha portato ad abbassarsi verso l’uomo fino a condividerne la miseria e la morte. Il saggio, oltre a proporre una fenomenologia dell’umiltà, cerca di far vedere in che senso essa possa essere riferita a Dio, non solo nel suo manifestarsi ad extra, in Gesù, ma anche nel suo stesso essere, ad intra, nell’ambito delle relazioni tra le tre persone divine, quale condizione di possibilità della creazione, dell’incarnazione e del suo abitare come Spirito nei cuori umani.
Al tema della provvidenza di Dio, ampiamente messo in crisi dal pensiero moderno – come sopra accennato - è dedicato il saggio del teologo spagnolo/galiziano Andrés Torres Queiruga, da tempo impegnato in un ripensamento radicale di tutta la teologia cristiana, che prenda definitivo congedo dal paradigma teologico debitore della cultura premoderna per elaborarne, nel contesto del pensiero moderno, uno nuovo rigorosamente coerente. Alla contestazione illuministico-deista di un mondo in tutto e per tutto governato da Dio – sfociata nel ‘deismo radicale’ negatore di ogni intervento di Dio nel mondo – la teologia cristiana ha reagito finora con quello che Torres Queiruga chiama «deismo interventista»: il mondo è generalmente retto dalla leggi naturali, ma Dio talora – anche per rispondere alle preghiere umane – interviene con azioni ‘miracolose’ che superano le leggi naturali. Ritenendo questo modello insostenibile criticamente, Torres Queiruga propone una nuova concezione della provvidenza di Dio come ‘creazione per amore’. Una creazione sempre in atto nella evoluzione cosmica e storica, ma all’interno stesso dei dinamismi naturali, senza interventi miracolistici puntuali. Ne risulta un senso della provvidenza che ne ricupera il significato cristiano fondamentale di un modo di stare al mondo in confidenza filiale con Dio, che sempre ci sta creando per amore. Coerentemente l’autore accenna alla necessaria revisione della problematica teologica del male, della preghiera di petizione, del miracolo, rimandando  a quanto più diffusamente sostenuto in altre sue pubblicazioni.

Come revisione della concezione ‘numinoso-sacrale’ di Dio possono essere letti i saggi dei filosofi Roberto Mancini e di Adriano Fabris.
Mancini, sulla scia di una serie di interventi in proposito, ci propone una lettura originale della misericordia di Dio, che nella prospettiva evangelica cristiana non dovrebbe essere vista in contrapposizione alla giustizia e alla verità ma identica con esse. Il che presuppone che misericordia, giustizia e verità siano opportunamente ripensate, come egli fa nel suo saggio con un ricco rimando ermeneutico tra fenomenologia esistenziale ed interpretazione biblica. Particolarmente illuminante e coinvolgente la riflessione sulla ‘logica’ dell’amore misericordioso come «passione generatrice e salvatrice», vera e propria ‘relazione salvifica’; sulla giustizia, non come retribuzione di meriti e colpe ma come l’«amore più grande», che guarda alla dignità infinita di ogni uomo; sulla verità, come un «divenire veri» di fronte al fratello. E non si manca di affrontare il tema del rapporto tra misericordia e contrasto al male e di come interpretare i detti evangelici sulle minacce e punizioni divine.
Ne risulta un compiuto superamento del volto ambiguo del ‘sacro’, a un tempo affascinante per la sua misericordiosa bontà e tremendo per la sua rigorosa giustizia, in favore di una visione di Dio tutto e solo amore misericordioso e, proprio perché tale, in grado di svelarci il senso autentico della giustizia e della verità.
Il ripensamento della ‘sacralità’ di Dio è presente da un altro punto di vista nel saggio del filosofo della religione Adriano Fabris su «sacralità/santità di Dio». Dopo aver osservato che i due termini non debbono essere intesi come ‘attributi’ nel senso di designazioni di una ‘sostanza’ divina ma come ‘funzioni di relazioni’ tra Dio e l’uomo, Fabris ne individua il nucleo essenziale nella tensione tra la relazione che intercorre fra Dio e uomo e la loro radicale differenza o ‘separazione’. Una tensione che si mantiene anche nel passaggio dal ‘sacro’ al ‘santo’, già presente nell’AT e portata a compimento nel NT; ossia dalla richiesta di purità legale a quella di correttezza nel comportamento morale ispirato da ‘purezza’ di cuore. Le parole e le azioni che mettono in rapporto con Dio non vanno infatti mai intese come in se stesse ‘sacre’ , come se la relazione con Dio consistesse in esse, si ‘fissasse’ in esse, ma come ‘strutture di rimando’, simboli o metafore di ciò che resta sempre ulteriore nella sua ineffabile e incomprensibile ‘santità/separatezza’. Ove il passaggio dal sacro al santo si completa, quindi, con il passaggio dal sacro al simbolico, che evita ogni possibile oggettivazione e manipolazione del divino da parte di poteri o istituzioni ‘sacre’.

Questa ultima cadenza del saggio di Fabris ritorna nel saggio di Luca Ghisleri come tema del mistero ineffabile di Dio, che l’uomo non può dominare ma soltanto invocare in termini ossimorici. Il saggio è dedicato alla ricostruzione del percorso compiuto da Italo Mancini nella sua riflessione sul concetto di ‘persona dei’. Questo grande maestro italiano di filosofia della religione ha preso molto sul serio la critica moderna al concetto di persona applicato a Dio ed è giunto alla convinzione della insufficienza del ‘teismo metafisico’, che concepisce la ‘persona’ quale attributo di un Dio dimostrato metafisicamente. La persona dei va a suo avviso intesa come la condizione di possibilità, in Dio, di parlare all’uomo e di incidere nella storia coinvolgendolo nella sua azione di liberazione.

Il senso in qualche modo ‘ossimorico’ del nostro parlare del mistero di Dio caratterizza anche il saggio di Enrico Guglielminetti, che ci presenta un originale tentativo di ripensare l’idea cristiana della Trinità di Dio. A suo avviso, tale idea ci invita a pensare l’unità di Dio come qualcosa che contiene «più di se stessa» pur rimanendo se stessa; ossia come qualcosa cui si addice una «aggiunta». Non l’aggiunta banale, esterna all’uno e che moltiplica l’uno, ma l’aggiunta in senso forte, interna allo stesso esser-uno e che lo rende vivo. La «metafisica dell’aggiunta» che Guglielminetti propone nel suo saggio, non senza rinvenirne tracce in San Tommaso ed esplicita formulazione in Duns Scoto, non solo consentirebbe al cristianesimo di pensare se stesso con categorie filosofiche proprie – e non ad esso estranee come quelle aristoteliche – ma potrebbe offrire al pensiero filosofico una ontologia nuova, particolarmente adatta a pensare sia l’antropologia che la temporalità e la stessa politica. Indubbiamente anche qui ci troviamo di fronte ad un ‘nuovo sguardo su Dio’ che, come quelli precedenti, non solo è impegnato a meglio intendere Dio ma anche a meglio intendere il senso della nostra vita. Comprensione di Dio e comprensione dell’uomo sono stati, infatti, e continuano a essere strettamente legati.
Giovanni Ferretti