Il fascicolo che presentiamo
raccoglie la rielaborazione degli interventi al Convegno
torinese (2-4 aprile 2009), organizzato dall’Aisfet
e dedicato al tema "Soggetto e norme. Individuo,
religioni, spazio pubblico". La questione è
stata discussa da filosofi, teologi e personalità
culturali e politiche di orientamento diverso, ma che
convenivano, proprio attraverso la convocazione da parte
della nostra rivista, nel convincimento che il contesto
filosofico teologico potesse costituire un’occasione
privilegiata per accedere a questa tematica. Filosofia
e teologia sono infatti luoghi di massima sensibilità
tanto per l’assolutezza e l’universalità
della norma quanto per l’irriducibilità e
la libertà del soggetto. Luoghi così sensibili
alle due polarità da aver oscillato tra la tentazione
di un conflitto che portasse alla prevalenza di un solo
termine e il tentativo di ricondurre deduttivamente l’uno
all’altro, con analoga conseguenza di por fine alla
polarità. Né si direbbe bene se si semplificasse
la contrapposizione ponendola in carico dell’orizzonte
disciplinare, come se alla filosofia potesse spettare
il primato della libertà del soggetto, mentre alla
teologia fosse da imputare l’inclinazione verso
l’universalità della norma. Un’analisi,
anche superficiale, della storia delle due discipline
mostrerebbe invece che la medesima tensione si ripropone
all’interno di ciascuna di esse, perché fin
dal detto agostiniano l’endiadi Dio e anima suggerisce
l’intreccio di assoluto e soggettività e
in filosofia la coppia concettuale verità/libertà,
nelle sue diverse declinazioni presenta un intreccio analogo.
Su questo versante gli interventi di Galeotti e di Coda,
fin dal loro titolo, per sullo sfondo di approcci disciplinari
e metodologici molto diversi, evidenziano entrambi il
carattere tensivo dell’endiadi che connette individualità
e comunità e conseguentemente libertà o
autonomia e norma.
E tuttavia occorre fare un passo oltre la semplice contrapposizione
dei termini e riconoscere che la questione più
significativa che si pone in concreto non è tanto
quella del contrasto assoluto tra soggetto e norma, tra
particolare e universale, ma quella, già concreta
e dunque anche già etico-politica, di come articolare
nella norma i diritti del soggetto, di come dar loro spazio,
anche politico e morale, così da riconoscere addirittura
nella costituzione stessa della norma l’urgere dell’individualità
che cerca riconoscimento. Ed è ancora da Galeotti
che ci vengono suggerimenti in questa direzione in un
discorso che mette a frutto sul terreno della contemporaneità
i percorsi storici che Natoli e Abel avevano tracciato
discutendo la nozione di individuo e i suoi fondamenti
filosofici. Attraverso l’enfasi per il concetto
di libertà l’impostazione liberale ha fatto
del soggetto (unico fondamento rimasto dopo la crisi della
tradizione) la fonte della norma, ma è ricorsa
nello stesso tempo a una serie di principi ‘naturali’
che limitassero la prevaricazione del soggetto (da Hobbes
a Locke, fino all’autonomia del soggetto kantiano
che è bensì legislatore, ma entro il vincolo
dell’universalità). L’esperienza evidenzia
ora l’urgere di una serie di diritti che non hanno
solo riferimento al soggetto (e non sono solo riconducibili
alla sua libertà) ma che vanno intesi come la forma
di dispiegamento del soggetto (della sua dignità,
delle sue capacità). La norma non trova più
nel soggetto solo la propria fonte ed eventualmente il
proprio limite ma assume il compito di articolare nel
contesto della collettività l’intera, ampia
sfera della dimensione del soggetto. Ciò mi pare
comportare due corollari. Per questa via si dischiude
infatti in primo luogo una ‘qualità’
della norma dove il soggetto e l’universale si situano
in condizione di reciproco riconoscimento. Non v’è
universalità che non protegga anche la soggettività
e non vi è soggettività che non si riconosca
situata entro un orizzonte collettivo. L’importanza
del tema dello spazio pubblico, che costituisce una modalità
specifica della dimensione politica, sotto la clausola
della democrazia, si colloca precisamente qui. Si può
infatti ritenere che il sistema politico in vigore dia
luogo a quella dimensione che siamo soliti chiamare spazio
pubblico, se esso non si limita a presidiare le regole
del gioco che vengono applicate per regolamentare ciò
che accade all’interno di uno spazio comune, perché
in linea di principio accessibile a tutti, ma vincola
quelle stesse regole a una condizione non scritta, ma
riconosciuta che nega la legittimità di un bene
privato che non sia anche un vantaggio collettivo o di
un bene collettivo che non abbia anche vantaggi per i
singoli individui.
Il secondo corollario evoca il principio inclusivo della
laicità. L’urgenza della questione della laicità
si riconnette al fatto che se l’orizzonte della norma
e quello del soggetto appaiono impregnati, ciascuno, di
valori, il loro collidere sembra dover necessariamente produrre
un collasso tra mondi di valori opposti. La laicità
può sembrare il modo neutrale (e relativistico) della
sterilizzazione dei valori (sostituito dal conflitto dei
poteri). In verità esso è una modalità
intrinseca del valore, quella per cui esso non può
affermarsi se non attraverso la reciprocità del riconoscimento
La laicità è un modo specifico e nuovo di
configurare il valore. In questo senso è fuorviante
enfatizzare sostantivamente la laicità, poiché
al termine non corrisponde un contenuto fisso e immutabile.
Laicità è una formula abbreviata per indicare,
come si diceva, un modo di configurare il valore. Essa in
senso autentico ha sempre forma aggettivale, per non dire
avverbiale: non indica un contenuto ma un modo di accedere
al contenuto e di articolarlo per sé e per gli altri.
Sono proprio questi corollari che ci hanno suggerito di
chiedere a Rodotà e Bindi di discutere culturalmente,
ma a partire anche dallo loro sensibilità politica,
rispettivamente la questione delle libertà individuali
nello spazio pubblico e il tema della laicità nell’agire
politico.
Il sottotitolo del convegno - "Individuo, religioni,
spazio pubblico" - precisa ulteriormente la posta
in gioco. L’individuo appare il punto di resistenza
minimo del soggetto, indica l’irriducibilità
di un proprium inespropriabile, prima ancora e al di là
ancora di ogni possibile ‘fondazione’ che
si voglia tentare a partire di lì. Le religioni
(al plurale) significano concretamente già forme
di mediazione tra la singolarità del credente di
fronte all’assoluto e la sua strutturale appartenenza
a una comunità, la quale a sua volta, per il proprio
carattere di specificità, si configura come un’individualità
storica, alla ricerca di un riconoscimento. Lo spazio
pubblico, infine, delinea, come si è già
tentato di suggerire, una modalità possibile e
adeguata di articolare la relazione. La rivista prosegue
con queste proposte nella direzione di uno scavo teorico
di questioni scottanti della nostra società, nel
convincimento che il pluralismo delle posizioni, quando
è sorretto da solide argomentazioni, costituisce
un contributo a una migliore convivenza. Filosofia e teologia
spingono entrambe in questa direzione: verso un approfondimento
e un’essenzializzazione delle questioni. Là
dove questo accade, come ci è parso sia accaduto
in questo convegno, si creano le condizioni per una più
rispettosa e profonda comprensione delle posizioni di
ciascuno degli interlocutori.