FILOSOFIA E TEOLOGIA
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Si è soliti considerare il tema dello spazio pubblico come una questione squisitamente politologica e trattarlo perciò come un ‘dato’ del quale è opportuno studiare anzitutto il funzionamento ed eventualmente discutere l’origine, prescindendo però da un’interrogazione più radicale, che ne metta in discussione senso e significato. Che ciò avvenga in una rivista di filosofia e teologia non deve sorprendere. Proprio a seguito di una prospettiva pluridisciplinare di questo tipo risulta infatti agevole problematizzare quelle visioni che riconducono illuministicamente l’idea di spazio pubblico al libero e neutrale luogo in cui si svolge e trova espressione comunicativa la vita collettiva. Non per nulla la teologia ha vigorosamente rivendicato in tempi recenti il radicamento teologico dell’apertura politica, asserendo con ciò implicitamente la non neutralità di valore dello spazio pubblico stesso. È dunque in forma radicale che questo fascicolo si interroga circa la questione posta a tema, domandandosi cioè appunto quale significato – quali contenuti – questa categoria racchiuda oggi e quale senso – ovvero quali orizzonti di comprensione – essa possa aprire. Sullo sfondo non è difficile cogliere che si affaccia anche, proprio per una rivista come la nostra, la tematica della laicità, nelle diverse e contrastanti versioni che essa è andata mano a mano assumendo: laicità ‘laica’ come programmatica separazione della sfera politico-sociale dalle interferenze del religioso; ‘nuova’ laicità come riconoscimento della valenza anche politico-sociale del religioso, ma entro le regole di traducibilità e di comprensione dettate dalla dimensione mondana; ‘sana’ laicità come riconoscimento di una naturalità cui anche il religioso può fare appello e che, in ultima analisi, vede convergere apertura religiosa e orizzonte laico nella difesa di comuni valori naturali.

Su questo sfondo, non irrilevanti, si agitano questioni oggi dibattutissime e variamente risolte e che implicano anche decise prese di posizione etiche. Lo spazio pubblico è un luogo neutrale, ove si confrontano per un verso poteri e per l’altro valori o ha già in sé una valenza etica, dal momento che costituisce una modalità di relazione fondata sul reciproco riconoscimento e dunque sul rispetto per i bisogni e i valori di cui ciascuno è portatore? Delineato così il contesto della domanda da cui nasce il fascicolo, un editoriale potrebbe enumerare in rapida sintesi le proposte di soluzione cui ciascuno dei saggi mette capo. Non lo farò. Anche perché la semplice lettura degli abstract che accompagnano ciascun articolo è da sé in grado di offrire questa panoramica. Mi sforzerò piuttosto di serrare più da presso gli interrogativi (ben prima delle proposte) che innervano i diversi contributi. Essi, nati nel dialogo e suscitati da un’introduttiva piattaforma proposta da Maurizio Pagano, possono così mantenere al meglio il loro carattere dialogico e suscitare nuovi contributi. Osservo solo che il fascicolo, diviso come sempre in Questioni e Figure, contiene in quest’ultima sezione articoli, che, pur avendo la forma di esplorazioni più puntuali, incentrate su singoli autori o aspetti, hanno non minore valenza di proposta complessiva.

Il tema dello spazio pubblico appare così destinato, anzitutto a partire dal saggio di Pagano, a una profonda trasformazione del proprio significato, messo in discussione, almeno per come si è definito abitualmente, tanto nel versante della sua delimitazione quanto in quello della sua universalità. Lo spazio infatti si costituisce sul terreno sociale attraverso la propria delimitazione, ma questa, in tempi di globalizzazione, appare erodersi in più punti. Per converso la dimensione pubblica, e quindi collettiva e perciò, almeno prospetticamente, universale, sconta, nel tempo della modernità, l’urto con diversità e particolarismi irriducibili. A cosa allora affidare questa composizione di istanze opposte che vanno dal localismo a una sorta di uniformità planetaria? Dove e come trovare un luogo di mediazione in cui appunto la particolarità non sia particolarismo e l’universalità non coincida con l’uniformità imposta dal più forte? Tutto, dunque, sembra minacciare la perdita di valore dello spazio pubblico. Ne discende la crisi della politica, ma anche, come evidenzia il problema che sta alla base dell’intervento di Guglielminetti, la stessa sfera del privato e dell’interiorità. Dove infatti non esista la dualità del dentro/fuori, del privato/pubblico, dove prevalga una liquidità amorfa, non entrano solo in crisi i meccanismi della vita collettiva e sociale, ma si esauriscono anche le specificità di quell’interiorità, che è capacità di esporre il sé di ciascuno all’opera (di confronto, di critica, di conforto, di sostegno, di opposizione) di altri. È vero insomma che solo illanguidendo i confini e superando gli steccati si produce il superameno delle esclusioni o non accade proprio il contrario, ovvero che, dove non si abbia più la percezione di differenze, tutti sono esclusi e sono destinati solo a una relazione reciprocamente mimetica?

Si potrebbe dire che il saggio di Perone costituisce un tentativo di rivendicare alla nozione di spazio pubblico una sua non esaurita validità, pur nella consapevolezza delle questioni sopra poste. Ma per far questo occorre forse un passo indietro, che riconosca il carattere di libera invenzione di questa nozione, che costituisce infatti l’apertura culturale di una possibile dimensione della convivenza e che perciò si può considerare una sorta di ‘trascendentale’ della vita comune. Non tutto il sociale e neppure tutto il politico sono luoghi dello spazio pubblico, ma solo quelli in cui i partecipanti a tale sfera riconoscono, prima di ogni conflitto di interessi e di valori, l’imperativo che costituisce la condizione stessa della loro convivenza: la consapevolezza dell’indissolubilità, pur tensiva, della relazione tra l’a-me e il per-tutti. I saggi di Ugazio e di Rostagno, pur diversi per contenuti, sono percorsi da una domanda formalmente affine. Rostagno vuole guadagnare uno spazio pubblico che non si trasformi in spazio sacro; qui l’eco della questione della laicità appare vividissima, sullo sfondo di una ricostruzione che arretra fino alle sorgenti teologiche della nozione di spazio pubblico e a fino al volontarismo di Occam e al liberante uso, in chiave antiideologica, che Lutero ne fa. Ugazio, a sua volta, tenta di sottrarre lo spazio pubblico alla sua risoluzione moderna in mero spazio sociale. Ispirandosi liberamente a Hannah Arendt, egli si interroga circa la possibilità che il limite mobile che distingue il pubblico dal privato non produca la dissoluzione di entrambi, che la vita ne risulti protetta e non riassorbita nella sfera del sociale o del politico. Il rimando al modello classico, non moderno, funge qui da avvertimento contro chi, per liberarsi dalla necessità naturale, si sottomette alla necessità strumentale, ancora una volta con analogia, rispetto al ruolo critico che in Rostagno veniva ad assumere una corretta prosecuzione del genuino intento luterano.

I saggi di cui si compongono le Figure si concentrano su questioni regionali, ma, come si è avvertito, non senza un’intenzionalità complessiva. Cortese e Lanciani affrontano la questione nella prospettiva di un incontro tra la tradizione analitica e quella aristotelica; la matrice teologica, sullo sfondo delle teologie politiche di Metz e Moltmann, è posta a tema da Dibitonto: mentre Lingua affronta, con rimandi soprattutto alla filosofia di Ferry, la questione della religione entro la sfera pubblica; Michelis, rifacendosi soprattutto a Jonas, delinea una possibile articolazione del rapporto tra particolarità e universalità in una prospettiva di responsabilità ecologica. Mons. Zani, Sottosegretario della Congregazione per l’Educazione e la Cultura Cattolica, espone infine in un ampio contributo la posizione della gerachia cattolica in ordine al tema dello spazio pubblico, e specificamente di un’educazione a esso orientata, nell’età della globalizzazione.

Ugo Perone