La prova ontologica può ancora oggi reclamare per sé un significato come luogo privilegiato di un'esperienza religiosa che il pensiero fa nella misura in cui si rende capace di aprirsi a qualcosa che, da parte sua, non può essere contenuto nel perimetro del semplicemente pensabile. Il presente articolo intende discutere la possibilità di questa esperienza religiosa che attraversa il pensiero e di cui il pensiero stesso riesce a dar conto non più con i mezzi di una procedura meramente dimostrativa, ma andando fino al fondo di quei conflitti e lacerazioni interne che lo rendono, per così dire, permeabile alla fede. Ciò consente, nel contempo, di rinvenire nel gesto speculativo del pensiero, di cui la prova ontologica è espressione eminente, non il tratto ambizioso di una ragione prevaricatrice che toglie spazio all'esperienza del credente, ma un momento privilegiato nel quale l'esperienza del credente guadagna in ampiezza e profondità.

Ontological proof can still claim to be a privileged locus of religious experience to the extent that it enables thought to open up to something that cannot be accommodated within the realm of the thinkable. This article discusses the possibility of a religious experience that saturates thought which, no longer able to account for it by means of a purely demonstrative procedure, goes stright to the bottom of those conflicts and internal lacerations that make it “permeable to faith”. At the same time the speculative quality of thought, of which ontological proof is an eminent expression, is perceived as the ambition of a reason which overwhelms taking away from the experience of the believer, but, rather, is appreciated as a privileged moment in which the experience of the believer gains breadth and depth.