Abstract |
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Sebbene l’Islam sia una religione
eminentemente razionale, nel senso che, dal punto di vista
dogmatico e dottrinale, rifiuta qualsiasi ricorso al mistero
e all’ignoto, elementi di superstizione si sono infiltrati
soprattutto nella pratica popolare. L’articolo analizza
alcuni aspetti di queste ricadute superstiziose, che potrebbero
trovar fondamento perfino negli stessi testi sacri, soffermandosi
tra le altre cose sulle degenerazioni del sufismo e sul
culto dei santi. Teologi fortemente avversi ad ogni superstizione
e ciarlataneria, come Ibn Taymiyya e Ibn ‘Abd al-Wahhab,
peraltro, non rifiutavano in sé, per esempio, la
magia, se non per quanto mette in pericolo il rigore del
culto monoteistico. Il limite dove si arresta la credulità
popolare e verso cui inclina il freddo ragionare dei dotti
è dunque il principio dell’Unicità di
Dio, vero pilastro della cultura e del pensiero islamici.
Although Islam is an eminently rational religion, because,
from a dogmatic and doctrinal point of view, it rejects
every appeal to mystery and to the unknown, elements of
superstition have penetrated the popular practices. The
paper analyzes some aspects of these superstitious relapses
that may ground even in the same sacred texts, dwelling
on the degenerations of Sufism and on the cult of saints.
Theologians strongly opposed to every superstition and charlatanism,
as Ibn Taymiyya e Ibn ‘Abd al-Wahhab who did not refuse
magic per se, but the magic that jeopardized the rigor of
the monotheistic cult. The limit where people’s credulity
stops, and to which the cold thoughts of the learned bend,
is the principle of God’s Uniqueness, true pillar
of Islamic culture and thought. |