Abstract |
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Il presente studio intende mostrare come
l’etica lévinassiana, volta a rinnovare l’appello
morale dell’«umanesimo ebraico», si inscriva
nel processo di demitizzazione che innerva la storia dell’esperienza
biblica nel suo progressivo decidersi per il monoteismo.
In particolare, si propone di evidenziare come tale monoteismo
giudaico esplichi la sua azione demitizzante mediante la
natura del Nome di Dio, la cui Rivelazione è sentita
quale esperienza di una Parola che non è compresa
dall’identificazione kerygmatica. [ma che si assolve
nel Dire santificante del Nome stesso.] Si vuole inoltre
sottolineare come nella prossimità tra giudaismo
e filosofia, l’idea cartesiana dell’Infinito
in noi rappresenti la struttura formale di un pensiero che
assume immediatamente un compito demitizzante. È
a partire dal nesso tra l’Infinito e la sua funzione
critica, [dalla «via breve» che colloca, da
subito, il pensiero oltre le sue mire identificanti,] che
si aprono le condizioni di un ateismo positivo, quale esperienza
costitutiva della relazione religiosa.
This paper intends to show how Lévinas’ ethics,
addressed to renew that moral appeal of “Jewish humanism”,
could be placed in the process of demythicization that innervates
the history of the Biblical experience in its progressive
evolution towards monotheism. In particular, the paper aims
to outline how Jewish monotheism may explicate its demythicizing
action through the nature of the Name of God, whose Revelation
is felt as experience of a Word which is not understood
by kerygmatic identification. In the proximity between Judaism
and philosophy, the Cartesian idea of Infinity in us represents
the formal structure of a thinking that immediately assumes
a demythicizing task. Starting from the nexus between Infinity
and its critical function the conditions of a positive atheism
are opened, as fundamental experience of the religious relationship. |