Filosofia e Teologia XXXVII, 1 (2023), Kenosis. Autosvuotarsi e incarnarsi del divino, pp. 3-7
Il fascicolo monografico che avete tra le mani è dedicato al tema della kenosi ossia dello ‘svuotamento’, un termine tecnico della cristologia e della teologia cristiane, desunto dall’epistola di Paolo ai Filippesi (2,7), considerata dagli esperti autenticamente paolina, là dove afferma che «Cristo svuotò se stesso». Dato il sovrapporsi, nella storia della cultura occidentale, della riflessione filosofica con l’evoluzione politica e intellettuale della religione cristiana, non sorprende che questo fondamentale concetto cristologico sia divenuto un paradigma della stessa filosofia, occupando via via un posto centrale nella storia del pensiero del nostro continente, dall’epoca tardo antica a quella medievale, segnatamente da Agostino a Tommaso d’Aquino, sino all’epoca moderna, all’idealismo tedesco, soprattutto nella grande sistematizzazione hegeliana. Ma neppure la filosofia del dopo-Hegel (o dell’abbandono di Hegel) ha davvero abbandonato o rinunciato a questo tropo teoretico – la kenosi – che, come pochi altri, attesta la simbiosi occidentale del teologico con il filosofico, e le scintille che da essa scaturiscono quando il pensiero critico la problematizza. La lista stesa da Graham Ward nel suo testo Christ and Culture, apparso nei primi anni Settanta del secolo scorso, dei filosofi contemporanei che se ne sono occupati è lunghissima: da Michel de Certeau a Mark C. Taylor, da Jean-Luc Nancy a Gianni Vattimo, da Emmanuel Levinas a Jacques Derrida... e omettiamo gli autori esplicitamente trattati o citati nei saggi di questo fascicolo. Tali saggi documentano e riprovano la centralità e la produttività della kenosi come categoria del pensiero occidentale, i suoi riverberi in autori e autrici anche minori, e persino la sua problematicità concettuale nella misura in cui la questione del ‘vuoto’ ci riporta a un’interrogazione radicale in ambito metafisico: il ‘vuoto’ è equiparabile al non-essere? Ha la funzione dello zero matematico? Oppure è solo un ‘altrimenti che essere’? Può dirsi davvero una categoria ontologica oppure è soltanto una grande e stupefacente metafora, un escamotage linguistico? Va forse declinata anzitutto in senso etico – l’apice dell’umiltà e dell’oblatività che nega ogni egoismo – oppure davvero pretende di essere un atto divino originario (se mai abbia un senso l’aggettivo ‘originario’ per l’Essere che non ha inizio né fine, come per definizione il Divino è tout court)? Forse avrebbe giovato, in questa nostra impresa, interpellare qualche filosofo analitico o qualcuno con grande familiarità con l’elaborazione di vuoti, buchi, nichilismi e altri ‘travasi ontici’ – reali e immaginari – come Achille Varzi, ad esempio... Autocritica a parte (che fa sempre bene), le riflessioni qui proposte sono già un lauto banchetto dell’intelligenza e un catalogo esemplificativo sufficientemente profondo per additare nella kenosi un tema più che mai attuale, sempre stimolante seppur specialistico, e persino audace in quest’ora di stanchezza mentale e debolezza filosofica, dovute non da ultimo dalle continue pressioni sociali e geo-politiche, sanitarie e ambientali, con la loro mole di inquietudini etiche e dilemmi morali, che sappiamo.
Il percorso qui proposto, nelle due sezioni Questioni e Figure, non esaurisce ovviamente lo spettro delle declinazioni e delle esplorazioni del tema, ma si offre a filosofi e teologi nonché a studiosi di ogni disciplina umanistica che vogliano andare alle radici della cultura occidentale quale strumento di indagine storico-teoretica rigorosa sul piano metodologico e, al contempo, concettualmente creativa, anzi euristica per tutte le correnti del pensiero contemporaneo (non solo quelle riconducibili alla fenomenologia e all’ermeneutica). Direi che proprio il pensiero metafisico classico ha qui un terreno di verifica, un banco di prova e persino ragioni di cimento con alcune fonti extra-filosofiche (bibliche, neotestamentarie, rabbiniche e persino islamiche, e siamo purtroppo silenti su possibili influenze gnostiche e buddhiste), fonti dalle quali la kenosi proviene e nei cui linguaggi ha pristinamente preso forma di pensiero e di credenza.
Apre il numero una riflessione di Irene Kajon dal titolo “E Mosè servo del Signore morì con un bacio del Signore” (Dt 34,5): l’amore come svuotamento del tohu va-vohu in alcune fonti ebraiche, nella quale si analizzano alcuni testi (dalla Torà ai midrashim, da Maimonide a Levinas) nei quali la kenosi viene attribuita non tanto al divino in sé quanto al tohu va-vohu, ovvero all’indeterminazione o mancanza di forma e luce, presente in Dio, nel mondo e nell’uomo; in tali fonti si ritrova una specie di ‘sostituzione’, per dirla in linguaggio levinasiano, con chiare determinazioni aventi un significato etico e che paiono annunciare un rinnovamento di tipo messianico. Dall’orizzonte dell’ebraismo si passa poi a quello del cristianesimo, nel quale, come detto, la categoria kenotica è assolutamente centrale.
Nel saggio di Carmelo Dotolo, intitolato Evento della kenosi e (im)pensabilità di Dio. Il paradosso del cristianesimo, la kenosi è letta come evento che lascia intravvedere un pensare altrimenti la questione stessa di Dio, la cui incomprensibilità può attivare da un lato la ricerca del senso del Divino, ma dall’altra potrebbe legittimare l’inutilità dell’ipotesi-Dio per la spiegazione del mondo, in quanto essa non corrisponderebbe più alle attese sempre cangianti delle varie epoche storiche e, a ben vedere, del mondo-della-vita come si sta delineando nella post-modernità contemporanea. La questione che qui viene rimessa al centro del dibattito teologico è se nella concreta storia di Gesù Cristo, espressa nel principio-evento della kenosi, si possa ritematizzare il perché Dio importa nella storia del mondo, tema cui corrisponde la proposta, da parte del cristianesimo, di mettere in crisi o almeno di ridiscutere una conoscenza generica e astratta, teistica, di Dio.
Lo “scandalo” dell’incarnazione. Un approccio fenomenologico è il titolo del saggio di Angela Ales Bello. La filosofa parte dal riconoscimento che l’incarnazione del divino nel mondo umano non è accettata da tutte le religioni e che, per alcune tradizioni, l’ammettere che ciò avvenga è considerato uno scandalo, perché tra il divino e l’umano c’è una disproporzione, una disparità ontologica che non tollera alcuna somiglianza. Per affrontare la discussione su questo complesso argomento, l’autrice del saggio propone un percorso che va da un’indagine antropologica, che consente di comprendere il senso universale dell’esperienza religiosa, a un’indagine più focalizzata sulla storia delle religioni, movendo da quelle più arcaiche fino agli ultimi esiti del cristianesimo. La via filosofico-antropologica e quella storica sembrano qui riunirsi nella disciplina ‘nuova’ che va sotto il nome di «fenomenologia della religione», nell’elaborazione proposta dai contributi di Gerardus van der Leeuw tesi a integrare i risultati delle analisi di Edmund Husserl e Edith Stein. Esaminando il contrasto fra il «Dio vicino», di quanti sostengono l’incarnazione, e il «Dio lontano», di quanti sembrano o vogliono escluderla, la filosofa intende portare ragioni a favore della sua accettazione.
Un affondo al cuore del cristianesimo viene offerto poi dal saggio di Paul Gilbert dedicato a Kénose et eucharistie a partire dalla tesi hegeliana sul ‘venerdì santo speculativo’ e dalla sue molteplici interpretazioni nella storia della filosofia, soprattutto in ambito ermeneutico e fenomenologico, ambito qui esplicitato dalla riflessione di Gianni Vattimo, nel primo caso, e dall’opera di Jean-Luc Marion nel secondo caso. Il saggio segue le proposte teoretiche di entrambi sul tema dello ‘svuotamento’ onto-teologico e della crisi della metafisica occidentale – sulla scia delle loro rispettive riletture heideggeriane – e si interroga su come far incontrare e dialogare queste due prospettive.
L’ultimo saggio nella sezione delle Questioni, dopo la prospettiva ebraica e la prospettiva di teologi e filosofi d’orizzonte cristiano-cattolico, è costituito dalla trattazione islamologica di Paolo Branca dedicata a Memoria e ascesi come spoliazione del sé e unione con il Divino nell’islàm. Come nelle altre tradizioni religiose, anche nell’islàm si dànno una prassi e un’elaborazione di tipo mistico che lo attraversano sin dalle origini e in tutto il suo evolversi storico. Non tutti gli studiosi concordano quanto all’antichità e alla legittimità del sufismo; resta però un fatto che la sua diffusione nel tempo (almeno dal XIV secolo) e nello spazio (dal Marocco all’Indonesia) non consente di ignorare questa specifica produzione di pensiero islamico. Il saggio di Branca vuole rendere ragione di tale sviluppo nella sua ricchezza simbolico-semantica, pur nell’impossibilità di esaurirlo; vuole altresì fornirne qualche chiave interpretativa lungo «le vie dell’Altro e dell’Oltre», nella consapevolezza di quanto tali vie siano inesprimibili in qualsiasi genuina religiosità.
Nella sezione delle Figure – figure tutte prese dalla storia della fede e del pensiero cristiani (o ad essi riconducibili) – il presente fascicolo ospita un saggio di Massimiliano Lenzi dedicato a Antropologia e teocentrismo nel pensiero cristologico di Tommaso d’Aquino. Questo elaborato indaga i presupposti antropologici e teocentrici che governano e fondano la riflessione cristologica di Tommaso, con particolare riferimento alla questione dell’assunzione divina della natura umana. La tesi proposta da Lenzi è che l’incarnazione, al pari dell’altro grande tema del pensiero paolino, cioè la giustificazione per fede, rimanda alla creazione e che, per intendere il rapporto cristologico tra Dio e l’uomo, occorre capire perché, secondo Tommaso, Dio ha creato il mondo e, dunque, quale sia il ruolo dell’essere umano nel progetto originario della creazione divina.
Altra figura emblematica, alla cui luce leggere la categoria della kenosi, è quella di Teresa d’Avila che viene esplorata da Niccolò Brandodoro sotto il titolo Kenosis del sé. Il Libro de la vida di Teresa d’Avila come eterobiografia. A partire da questo testo (che è sempre stato presentato come una auto-biografia, per quanto spirituale) il saggio propone di indagare esattamente in che modo l’opera teresiana decostruisca la nozione classica di ‘auto-biografia’ erodendone i presupposti teorici. Inoltre, l’autore vuole mostrare che, radicalizzando la logica kenotico-carismatica della Lettera ai Galati di Paolo di Tarso attraverso la mediazione delle Confessioni di Agostino d’Ippona, l’opera di Teresa d’Avila si struttura come etero-biografia, forse ambigua ma capace di mettere in questione l’autorità ecclesiastica dei letrados confessando la propria vita come incomprensibile dono della grazia divina. La dottrina della humildad, fondamento dell’orazione teresiana, si rivela così come traccia del kenotico svuotarsi di Teresa stessa, espropriata – svuotata – dall’estraneità di un volere totalmente altro.
Spostandoci dalla sfera teologica e religiosa a un ambito più filosofico, il saggio di Antonio Pirolozzi si focalizza su La Logica della Menschwerdung nella hegeliana Enciclopedia delle scienze filosofiche (1830). In questo contributo Pirolozzi ripercorre la riflessione hegeliana sull’incarnazione divina così come esplicata nell’ultima grande opera hegeliana. Per Hegel Dio non è una vuota astrazione; ma l’Assoluto diventa un evento, entra nel tempo, si fa uomo ovvero esistenza individuale, vita biologica, che non esclude la dimensione naturale perché in questa storia non viene meno l’assoluta devastazione, la morte, che però è altrettanto superata.
Proseguendo nel solco dell’idealismo tedesco, Guido Ghia esplora Fichte con gli occhi di un grande teologo cristiano nel saggio intitolato Kenosis del Logos. Sull’interpretazione di von Balthasar del giovannismo di Fichte. Per von Balthasar il concetto di analogia è il solo strumento concettuale in forza del quale l’essere umano può ‘parlare’ del Divino senza depauperarlo della sua dimensione di mysterium e senza privare il credente della possibilità di accedere alla rivelazione. L’efficacia dell’analogia sta nel non alienare né compromettere il Divino nella sua trascendenza né nella sua dimensione di amore. Secondo Fichte, esiste un’identità tra l’Io e Dio, tra l’umano e il divino. In forza di tale identitas entis, che von Balthasar rigetta in favore della analogia entis, la filosofia fichtiana è considerata dal teologo novecentesco una forma di titanismo, sebbene non privo di significative potenzialità mistiche. Il misticismo di Fichte, in ultima istanza, si ispira all’evangelo di Giovanni la cui chiave resta la ‘kenosi del Logos’: «E il Verbo si fece carne...». Da questo punto di vista, la dottrina fichtiana della religione si risolve in una ‘logologia’.
Ultima figura – ma non certo nel senso che esaurisce le possibili figurazioni e l’esemplificazione del tema kenotico nel pensiero occidentale, specie contemporaneo – è quella offerta da Leonardo Messinese nel contributo dal titolo Incarnazione e kenosi in Simone Weil. Qui si torna a esplorare il tema cristologico in quanto nodo teoretico tra i più rilevanti del pensiero filosofico-religioso di Simone Weil. Dapprima il focus è sulla sintesi che della cristologia filosofica weiliana ha compiuto Xavier Tilliette, il quale mette in luce alcune problematiche degne di ulteriori approfondimenti. In tale prospettiva, il saggio analizza sia lo stretto rapporto tra la personale esperienza mistica di Weil e la sua comprensione del cristianesimo, sia la questione della duplice rivelazione, greca e cristiana, che la pensatrice ha sviluppato negli ultimi suoi scritti. Il saggio mira, in tale orizzonte ermeneutico, a delineare la cristologia weiliana soffermandosi sui temi della rivelazione del Logos e dello stretto rapporto tra creazione, incarnazione e passione di Cristo.